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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Venezia, tutto è pronto per l’edizione numero 72 del Festival. Tra torme di addetti ai lavori, funzionari Rai, produttori e distributori, molto lino, qualche panama, tanti abbracci, valanghe scatti fotografici, poche corone, troppi aspiranti e un sincero disprezzo per De Coubertin. Qualcuno, è certo, resterà deluso

Fino a metà agosto, giurano indignati, “sembrava una risaia”. Nugoli di zanzare, nebbia a banchi e nella voragine a un passo dal Casinò, l’acquitrino. Poi in Viale Marconi, al Lido di Venezia, sono arrivati gli operai. Si è messa l’ennesima toppa stagionale sullo scandalo, sul progetto smarrito da sette anni o quasi chiamato Palacinema: “La Costa Concordia del Lido”, secondo Paolo Baratta, presidente della Biennale avviato al quarto mandato. Si è dato un colpo di ruspa al gigantismo: “Torneranno prati e alberi come in passato”, ha rassicurato mesto il preoccupato neosindaco Brugnaro. E adesso, messi i cocci sotto il tavolo, persi per sempre i 37 milioni di euro già investiti con la minaccia di doverne versare altri nella transazione alla ditta Seicam da tempo sul piede di guerra, tutto è pronto per l’edizione numero 72 del Festival.
Torme di addetti ai lavori, funzionari Rai, produttori e distributori. Molto lino, qualche panama, tanti abbracci di chi è abituato a incontrarsi periodicamente. Ossessivi scatti fotografici in posa davanti ai leoni per dimostrare che si è cinefili, ma anche moderni e connessi ventiquattr’ore al dì per il sincero dolore di Tatti Sanguineti: “Hanno persino eliminato il casellario della posta per gli addetti ai lavori. Forse non era bello, forse era antidiluviano, ma un ultrasessantenne avrà pur diritto a morire non internettizzato?”. Il dubbio cade nel vuoto del marasma degli arrivi.
Una certa confusione ai vaporetti con la rude, immutabile dialettica dei marinai lagunari addetti all’approdo. Annoiate facce da reduci della rassegna che contrastano con gli ovali entusiasti e l’emozione degli studenti delle scuole di cinema. Fa caldo, ma ti dicono “pioverà”. Clima perfetto per vedere i film, riempire i ristoranti, provare a introdursi senza diritto a una delle tanti baccanali che tra una generosa sponsorizzazione e l’altra, riempiranno il calendario da qui al 12 settembre. Sulle spiagge, nella migliore stagione del decennio da Jesolo in giù, dovesse scatenarsi la tempesta, comprenderanno.
Sull’arenile in cui Visconti ambientò Morte a Venezia, intanto, c’è calma piatta e i gabbiani volano bassi. Ha provato a farlo anche Alberto Barbera, direttore di una Mostra che vede ben 16 esordienti assoluti, 4 film italiani in concorso (Bellocchio, Gaudino, Guadagnino e Messina, il primo a passare, il giorno 5), molta attesa per le stelle che da Robert De Niro a Vasco Rossi illumineranno di flash l’atmosfera.
Ci vorrebbe la perizia visiva e analitica di un Cary Fukunaga, il regista del primo True Detective, tra i candidati al Leone d’oro con un film sulla guerra osservata con gli occhi di un bambino africano mandato al fronte in età da Minions, per capire nessi, ragioni, colpevoli e innocenti alla base di questo giallone di celluloide che a ogni fine estate, decreta vinti e vincitori illudendo sulla centralità di un microcosmo che sulla terra ferma, lontano dalle darsene, interessa il giusto.
Per chi è qui con il programma stropicciato nella destra, il desiderio di albergare in sala e animare il temuto dibattito tra una proiezione e un’altra, però, Venezia somiglia a quello che De Gasperi scorgeva nel cinema: “Una lanterna magica” in cui ogni luce diventa possibile perché muovendosi nel sogno, la realtà perde urgenza e importanza. Da stasera alle 19, con pennacchi, gendarmi e istituzioni in prima fila (in arrivo Mattarella, il presidente della Repubblica), via alla scalata della montagna veneziana con Everest in 3D (dopo aver visto quella italiana nel serrato Storie Sospese di Stefano Chiantini prodotto da Marta Manzotti e passato con buon esito alle Giornate degli Autori).
Se partorirà capolavori o topolini, si vedrà. Da sempre i pronostici saltano in coda, da sempre ci si accapiglia su gusto, merito e messaggi sottesi (tanti allenatori ed esperti di pallone quanti critici cinematografici da Chiasso in giù), da sempre si incensano cinematografie meritevoli regolarmente disertate dal grande pubblico: “Ma è un Festival d’arte cinematografica, non la sagra dell’incasso”, avvertono i puristi e si omaggiano venerati maestri (l’8 sarà il turno di Bertrand Tavernier). Che la festa cominci, come titolava un suo famoso film, in un panorama che al netto delle sosia di Marilyn imbellettate per il gran ballo e di una certa alterata eccitazione, si presenta meno ilare che in altre circostanze: “Non è tempo di commedie – ammonisce Alberto Barbera – il cinema racconta la realtà”. Una realtà presente, futura e passata, molto varia, a volte melodica (Laurie Anderson cercherà nella memoria il suo Lou Reed), altre stonata.
Sofferenza, drammi, crisi esistenziali. Una realtà per una volta priva dei dominatori di ieri (i cinesi). Una realtà che alla fine farà i necessari conti con il capobanda Alfonso Cuaròn e con le valutazione della sua giuria.
Nel ‘91 chiesero a Glenn Close di rimanere nell’umidità del Lido per la premiazione. L’attrice recitava in Tentazione di Venere di Szabò e attendeva la Coppa Volpi. Salì sul palco e scoprì che invece di riceverla, l’avrebbe dovuta consegnare a Tilda Swinton per Edoardo II di Jarman. Imbarazzo, gaffe, cerimoniali in pericolo.
A Venezia accade spesso. Si regna per un istante e poi ci si ritrova detronizzati. Sembra un gioco, ma chi gioca ha poca voglia di scherzare. Poche corone, troppi aspiranti e un sincero disprezzo per De Coubertin. Qualcuno, è certo, resterà deluso.