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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Montezemolo racconta Monza in cinque fotogrammi indimenticabili. Per la prima volta dopo 23 anni l’ex presidente Ferrari non sarà al Gp d’Italia ma fa sapere di non essere preoccupato per il circuito: «Le minacce al Gp di Monza sono come il panettone a Natale, è tradizione. Ogni volta che si arriva al momento del rinnovo Bernie dice che salterà. Ma non è vero. Certo, ognuno deve fare la sua parte. Le cose belle costano e non si può pensare di non pagarle»

Enzo Ferrari che estorce un carnet di biglietti per la gara al direttore dell’autodromo. Ickx e Merzario che scappano dentro a un camion per non essere picchiati dai tifosi. Michael Schumacher che salva il posto a Todt. E poi gli altri, tutti gli altri, da Scarfiotti ad Alonso, da Berger a Massa, da Alesi a Raikkonen. Dal bianco e nero dei pionieri, all’alta definizione della tv satellitare. Sfliano tutti, come in un finale di Fellini, nei ricordi di Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente della Ferrari, che per la prima volta dopo 23 anni – «anzi, dopo una vita» – resterà a casa durante il Gran Premio di Monza. «Mi dispiace moltissimo. Mi mancherà. È una gara magica».
Glielo dica al suo amico Bernie Ecclestone...
«Ma le minacce al Gp di Monza sono come il panettone a Natale, è tradizione. Ogni volta che si arriva al momento del rinnovo Bernie dice che salterà. Ma non è vero. Certo, ognuno deve fare la sua parte. Le cose belle costano e non si può pensare di non pagarle. Ma, con tutto il rispetto per Baku, pensare di non correre in Germania è già abbastanza deprimente».
Perché Monza è magica?
«Perché c’è da sempre. Io la ricordo ancora prima di essere dirigente Ferrari. Ero lì nel ’66 quando vinse Scarfiotti, primo e unico italiano, ed ero lì quando vinsero Surtees e Regazzoni... Nella mia testa ho cinque fotogrammi che non dimenticherò mai. Il primo è l’arrivo dell’edizione del 1975. Clay Regazzoni che vince davanti a Fittipaldi; Niki Lauda che arriva terzo e vince il mondiale, il primo dopo 12 anni di digiuno. Due anni prima, ero appena arrivato, i tifosi erano così esasperati che inseguirono Ickx, Merzario e me fino a dentro ai camion del motorhome per picchiarci».
Che cosa gli avevate fatto?
«Le Ferrari continuavano a fermarsi, a volte nemmeno partivano. A Silverstone Ferrari decise di ritirarle, per evitare umiliazioni. Ma tornati a Monza si fermarono di nuovo. Quando Lauda tagliò il traguardo, due anni dopo fu un’esplosione di gioia. Era stata la gara perfetta: Niki iridato, Clay primo, tutto insieme e tutto proprio lì, a Monza, casa nostra. Chissà dov’erano quelli che due anni prima mi volevano picchiare. Forse è stato il momento più bello della mia vita. Ricordo ancora i salti di gioia di Enzo Ferrari tra i meccanici. Era commosso».
Ci teneva?
«Da morire. Ricordo le migliaia di telefonate all’alba, le ossessioni. Doveva essere tutto perfetto. Mi mandava a minacciare quelli dell’autodromo per avere più biglietti possibile per tifosi, vip clienti: “O te li danno, o le macchine al via se le scordano”, mi diceva».
Il secondo?
«Nel ‘96. Era un momento difficilissimo. Schumacher, l’uomo su cui avevamo puntato per il rilancio dopo 21 anni di digiuno, era alla prima stagione con noi. E aveva avuto un paio di momenti difficili. Si era fermato in Canada e a Magny Cours. Da Torino mi avevano chiesto la testa di Todt e io l’avevo difeso minacciando le dimissioni. Ero ottimista: pensavo, meglio una macchina che ogni tanto si rompe ma è veloce piuttosto che una macchina sempre lenta. Schumi vinse a Spa, poi arrivò a Monza e fece una gara eccezionale. Sono convinto che il ciclo vincente, quello del mito, nacque proprio in quel momento, e in quel posto. Mentre suonavano l’inno di Mameli».
Però ci sarebbero voluti altri 4 anni prima di tornare al titolo.
«Sì, ma stavamo arrivando. Un segnale importantissimo lo avevamo già avuto sempre a Monza nel ‘93, con il secondo posto di Alesi; e poi con Berger a Hockenheim nel ‘94. Due sprazzi di sereno in mezzo alle nuvole».
Si può fare un parallelo con la Ferrari di adesso?
«Non credo. La Ferrari di adesso è più vicina a quella del ‘96. È un po’ più avanti sulla strada del recupero».
Poi ci fu il gp di Monza del 2000.
«Esatto. Dopo Spa avevamo capito che se volevamo il mondiale avremmo dovuto vincerle tutte di lì alla fine. A Monza Michael dominò. A modo suo. Lo vidi sgranare gli occhi davanti alla marea rossa di tifosi, e fu come se tutta quella gente gli stesse dando la carica... Di lì in poi vinse tutto, come un robot. Nella mia mente è come se avesse continuato a vincere per sempre, fino all’altra Monza che non dimenticherò mai. Quella del 2006. L’ultimo. Poi se ne andò, e dopo lui Todt».
Ne manca uno.
«Sì, il gp di Monza del 2010. Il primo anno di Alonso. Lui vince e Massa si piazza terzo. Nonostante la macchina fosse meno velcoe della Red Bull, quella vittoria ci lanciò alla grande verso il finale di stagione. Perdemmo il mondiale in modo incredibile, ad Abu Dhabi, l’ultima gara. Ci bastava un quarto posto. Risultato ampiamente alla nostra portata. Oggi la storia sarebbe diversa. Ma qualcuno sbagliò tutto...»