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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Hillary, nello scandalo delle mail spunta pure Berlusconi. Un terzo della sua corrispondenza è stato pubblicato e ora deve affrontare le diffidenze degli elettori. Sembrava ormai certa della nomination, ma adesso nei sondaggi è in difficoltà

Spunta anche Silvio Berlusconi nelle email “segrete” di Hillary Clinton: l’opportunità di una telefonata di solidarietà dopo l’aggressione da lui subita; il rischio che la «strumentalizzi a scopi elettorali». È uno scambio tra lei e uno dei suoi consiglieri più fidati, Sid Blumenthal, all’epoca in cui Hillary è segretario di Stato. Il 5 dicembre 2009, Berlusconi ha subito da poco l’attacco in Piazza del Duomo a Milano. Blumenthal consiglia alla sua capa di intercedere presso Barack Obama per una telefonata di solidarietà. «Sarebbe strano non chiamare il capo di Stato di un paese Nato che è stato aggredito». Al tempo stesso la mette in guardia: «Berlusconi renderà pubblica la telefonata e sarebbe imbarazzante se la usasse in una campagna di simpatia contro le azioni giudiziarie». C’è un riferimento alle inchieste de La Repubblica sull’allora presidente del Consiglio: «Mette bastoni fra le ruote alla stampa investigativa», «Ha cominciato a perdere terreno politico».
Il voyeurismo politico degli americani è appagato: finalmente possono osservare la Clinton dal buco della serratura. 7.121 pagine, per un totale di 4.368 email, sono state rese pubbliche dal Dipartimento di Stato. È un terzo di tutte le email generate o ricevute da Hillary quando dirigeva la politica estera americana. Solo 150 circa sono state coperte dal segreto di Stato, “classified”. Questa operazione-trasparenza, non ancora conclusa, è la conseguenza di uno scandalo su cui i repubblicani contano per affondare la sua candidatura alla Casa Bianca: quando fu segretario di Stato la Clinton usò il proprio indirizzo personale per le email anziché quello governativo come avrebbe dovuto.
Che cosa si scopre da questa inondazione di corrispondenze, pubbliche e private? Che l’entourage della Clinton continuava a rimuginare rancori verso Obama per la sconfitta nelle primarie 2008, e non perdeva occasione per far circolare notizie negative sul presidente. Esempio: Blumenthal fa allusioni allo scontro del 2008, quando nel 2010 una regista donna vince l’Oscar (Kathryn Bigelow con “The Hurt Locker”) sconfiggendo Avatar-Obama. È ancora lui a far circolare i giudizi poco lusinghieri sullo staff di Obama, pronunciati da un ex collaboratore del presidente, John Podesta. Altri collaboratori della Clinton descrivono il presidente «altezzoso, con un’elevata opinione di sé».
Si conferma il ruolo importante della figlia Chelsea. È lei ad attirare l’attenzione dell’allora segretario di Stato sul disastro degli aiuti umanitari dopo il terremoto di Haiti. La Prima Figlia è anche una critica severa sull’inefficienza del sito Internet del Dipartimento diretto dalla mamma. Chelsea si raccomanda che la sua funzione rimanga ignota ai più, e in una email si auto-definisce «un soldato invisibile».
Blumenthal fa la parte del leone in quanto a email piccanti. Ce n’è una che riguarda il presidente della Camera, il più alto leader repubblicano in carica, John Boehner: «Infido, alcolizzato, fannullone, e del tutto sprovvisto di principi. Anche i suoi lo trovano disgustoso». L’entourage del segretario di Stato la informa sui possibili candidati repubblicani alla Casa Bianca, in particolare quando sembra che possa lanciarsi nella gara l’ex generale David Petraeus (capo della Cia, poi travolto da uno scandalo).
La scoperta più gustosa? Hillary può avere senso dell’umorismo. Quando viene a sapere che qualcuno ha rapinato una banca in Virginia nascondendo il volto con una maschera di... Hillary Clinton, lei commenta: «Posso considerami lusingata, almeno un pochino? In quanto al mio alibi... dipende dalla scorta del servizio segreto». Suscita ilarità, in America, uno scambio di email dedicato al “gefilte fish”, una carpa marinata secondo la ricetta ebraica: al segretario di Stato tocca occuparsi di una partita di carpe importate da Israele e bloccate dalla dogana Usa. Infine il clima femminista che regna nel suo staff è confermato dal portavoce (uomo), Philippe Reines, che la elogia per avere «svergognato i mostruosi maschilisti del Dipartimento».
Ce n’è per tutti gli interessi, l’unica cosa che latita finora è lo scandalo vero. Le email piccanti sono tutte indirizzate a lei dai suoi collaboratori, non è lei a scriverle. Manca una delle piste che potevano essere più esplosive: i soldi. Cioè i finanziamenti alla Fondazione Clinton, e le relazioni amichevoli con alcuni di quei finanziatori esteri come l’Arabia saudita, la cui generosità potrebbe essere compromettente. Nulla di quello che è emerso finora è la “bomba” che i repubblicani aspettano. Tant’è che ieri il presidente del Republican National Committe, Reince Priebus, l’ha attaccata con questa argomentazione: «Hillary Clinton usando il server privato ha esposto ancora più informazioni segrete di quanto si credeva, ha messo a repentaglio la nostra sicurezza nazionale». È una tesi difficile da sostenere visto che nello stesso periodo le email governative, che usavano i canali cosiddetti “protetti”, furono espugnate e divulgate da WikiLeaks che rese pubblici 250.000 messaggi diplomatici.
Un punto debole di Hillary resta quel vecchio vizio dei Clinton: pensare che le regole valgano per gli altri. Di recente lei ha fatto ammenda su questa vicenda delle email: «Capisco le critiche, non fu la scelta migliore usare l’indirizzo personale, me ne prendo la responsabilità».
Federico Rampini
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La lunga estate della signora che aveva già vinto la Casa Bianca in primavera e ora sente di poter perderla in autunno ha messo Hillary Clinton di fronte alla propria peggiore avversaria: se stessa. Anche lei, come il marito del quale porta il nome, l’eredità e la lunga ombra, deve lottare contro l’etichetta che accompagna da trent’anni la coppia “Billary”, Bill e Hillary, e che ora lo scandalo delle email ha rafforzato e che si riassume in una sola parola: bugiarda. Due americani su tre, indipendentemente dal loro colore politico, pensano che Hillary soffra di una cronica tendenza a mentire, come il coniuge, per ora tenuto a distanza. Ma se il vecchio Billy volava sopra le proprie bugie sulle ali del proprio fascino, la moglie, che carisma non possiede, deve, come faceva quando era una brillantissima, diligentissima studentessa di Giurisprudenza a Yale e poi avvocato per le Commissioni d’Inchiesta parlamentari, contare soltanto sulla fatica, l’organizzazione, la strategia. E il proprio autocontrollo.
Il problema che sta agitando l’ Autunno della Matriarca, e che i sondaggi implacabilmente fotografano dandola ormai vicinissima a concorrenti alle future primarie che ancora tre mesi or sono sembravano figuranti, è quello delle “Due Hillary”. Ci sono due donne, in quella signora di 68 anni che sogna di essere la prima Madame President della storia americana. C’è l’ Hillary pubblica, sicura di sé alle soglie dell’arroganza, visibilmente repressa nei gesti e nelle parole, capace di risposte sprezzanti come quella data a un giornalista che le chiedeva se avesse tentato di ripulire il computer usato per le email: “Sì, come no, con uno straccio...”. Poi c’è la “girl”, la ragazza, come la chiamano le donne della corte che le stanno a fianco. C’è la signora capace di sciogliersi metaforicamente i capelli pur tagliati corti. Di ridere di una risata che diventa giovane e cristallina nonostante gli anni e che porta alle riunioni ristrettissime nei suoi uffici privati un’atmosfera spontanea da dormitorio delle studentesse al college davanti a tranci di pizza fredda. È un dilemma, questo delle Due Hillary con il quale lottano ogni giorno il direttore delle operazioni e veterano del clintonismo, John Podesta, Jennifer Palmieri, capa del suo ufficio stampa, la stratega Mady Grumwald e l’amatissima spalla da ormai vent’anni, l’indopakistana Huma Abedin.
Quale delle Due Hillary funzionerà meglio, ora che la passeggiata verso la “nomination” è diventata un sentiero di rovi insidiato da improbabili avversari come l’ultra settuagenario senatore del Vermont Bernie Sanders, che l’ha scavalcata addirittura nei sondaggi in New Hampshire, il primo Stato americano nel quale in febbraio si voterà sul serio. Il nodo di una crisi infastidita addirittura dall’inatteso Joe Biden, vice di Obama, che medita di buttarsi nella mischia per rispondere a quella vasta ala liberal dei Democratici che non si riconosce in una Hillary troppo vicina, fisicamente e ideologicamente, al mondo degli “Un per Cento” e di Wall Street.
Il problema di coloro che la vorrebbero più se stessa e meno artificiale è che Hillary, all’estremo opposto del marito, non ama le folle e le teme. Per questo la squadra delle “Hillary Girls” evita le adunate oceaniche. Quanto il vecchio “Bubba” nutriva il proprio ego e il proprio appeal con il “feedback”, le vibrazioni di ritorno emanate dai fan adoranti, tanto la moglie si irrigidisce e si chiude nel copione scritto di fronte all’urto della folla. In Iowa, lo Stato che per primo, nello stravagante meccanismo dei Caucus, la Clinton si è lanciata in una descrizione di come in 50 Stati lei stia creando un’organizzazione capillare e di quanti delegati al Congresso Democratico abbia già sicuri in borsetta. Una risposta da Amministratore delegato a un pubblico che le chiede passione, “fuoco nella pancia” come Billy e come Obama. La Hillary Pubblica risponde con organigrammi, ristrutturazioni e schemi.
Questa, di nascondere se stessa dietro la maschera della secchiona distaccata e calcolatrice, è stata la formula che le permise di sopravvivere all’ignominia dell’Affaire Lewinsky, di proteggere la figlia Chelsea, il marito Capo dello Stato e soprattutto se stessa, dal ciclone di vergogne vere e di attacchi artificiali che i grandi elemosinieri della Destra finanziavano arrivando ad accusarle di avere avuto un amante alla Casa Bianca e di averlo fatto uccidere da sicari nel 1993. Difficile per lei abbandonare quell’armatura che la salvò e, dettaglio importante, salvò la sua famiglia.
La lunghissima strada del suo riscatto, e della resurrezione dalla donna umiliata del 1998, è passata per un’elezione a senatore di New York, un seggio che le fu regalato dal partito come ricompensa alla sua lealtà politica e coniugale, e da un incarico alla Segreteria di Stato che Obama, anche lui in debito con Clinton per l’appoggio elettorale, le attribuì. Ma ora Hillary è sola, sospesa fra un’immagine pubblica che scandali molto gonfiati scrostano ogni giorno, e la propria personalità più profonda, che lei teme di rivelare. Pensa di dover fare la “dura”, di dover pagare ancora una volta il tributo sessista della donna che deve sembrare più uomo dei maschi per essere presa sul serio. E forse dimentica che il picco della sua popolarità fu raggiunto in un gelido febbraio del 2008, quando, dopo l’imboscata vittoriosa tesa da un semi sconosciuto senatore, Barack Obama, pianse di rabbia in diretta tv, lasciando che un po’ di mascara le scorresse sulle guance. Se la Falsa Hillary, che sembra falsa anche agli elettori, continuerà a vacillare, soltanto la Vera Hillary potrà salvarla.
Vittorio Zucconi