Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Cairo, dieci anni alla guida del Toro. Era il 10 settembre 2005: «Ricordo un’estate totalmente consegnata al Toro. Stavo in vacanza con la mia famiglia quando il 13 agosto il sindaco Chiamparino mi chiamò: non è che vorrebbe prendersi il Torino? Mi sembrava di essere stato catapultato su Marte. Che ne sapevo io di calcio? Mi sono sentito lusingato e ho cominciato a pensarci su». A spingero ad accettare è stata la mamma: «Grande tifosa, mi ha detto: perché non accetti? Mi sembra una bella cosa». Il presidente racconta la sua avventura nel mondo del pallone

«Primi in classifica con 6 punti di vantaggio sulla Juventus. Vero, siamo in testa in cinque. Vero, sono solo due partite, e non è che due vittorie facciano poi questa differenza».
E se fossero due sconfitte?
«Be’, un po’ di differenza la farebbero...».
Quindi diciamo che poteva andare peggio.
«Decisamente sì».
Bel modo per festeggiare dieci anni alla guida del Toro. Dolce l’anniversario di Urbano Cairo, presidente del Torino primo in classifica. Sono dieci anni fa oggi, quando UC si regalava una società che in pochi giorni era stata promossa in A, poi fallita e quindi di nuovo retrocessa in B. Folle come solo il granata può essere.
Presidente, racconta di avere il Toro nel destino. È vero che se avesse potuto avrebbe taroccato anche la sua data di nascita?
«In che senso, scusi?»
È nato il 21 maggio 1957, segno dei Gemelli. Un giorno prima sarebbe stato del Toro.
«Vero, accidenti! Ma mio figlio è del Toro, di nascita e di tifo. Stava con me durante il giro di pista al Comunale il giorno del mio debutto da presidente, il 10 settembre 2005».
Che ricordo ha di quei giorni?
«Quello di un’estate totalmente consegnata al Toro. Stavo in vacanza con la mia famiglia quando il 13 agosto il sindaco Chiamparino mi chiamò: non è che vorrebbe prendersi il Torino? Mi sembrava di essere stato catapultato su Marte. Che ne sapevo io di calcio? Mi sono sentito lusingato e ho cominciato a pensarci su».
E che cosa l’ha fatta decidere?
«Non che cosa, ma chi: mia mamma. Grande tifosa, mi ha detto: perché non accetti? Mi sembra una bella cosa».
E lei ha accettato.
«Ho mentito spudoratamente a mia moglie, dicendo che tornavo a Torino per un giorno. Lei mi guarda e fa: scusa, ma quante camicie stai portando via, se ti devi fermare un giorno soltanto?».
Aveva capito tutto...
«Mi ha raggiunto con i figli a Torino qualche giorno dopo. Nel frattempo avevo già scelto un tecnico, De Biasi, discusso con Giovannone, l’altro pretendente e dato qualche intervista che mi inchiodava alle mie responsabilità future».
Per saggiare la sua fede granata, le venne chiesto di recitare a memoria la formazione del Torino campione d’Italia.
«Esatto. Bacigalupo, Ballarin, Maroso...».
E quella del ’76.
«Sì, dunque: Castellini, Santin, Salvadori...».
Promosso anche questa volta. Sa di essere nella storia del Toro? Dopo Orfeo Pianelli, 19 anni, e Ferruccio Novo, 14, lei con 10 anni è il terzo presidente granata per longevità.
«Lo reputo un onore».
Si è mai pentito di aver preso il Torino?
«Mai. Magari ho vissuto qualche momento difficile, ma pentirmi no, mai»
Ricorda quel 4 maggio in cui non è salito a Superga?
«Certo, era il 2010. Ho pensato che fosse meglio per la squadra. E per rasserenare un clima un po’ surriscaldato».
Nel 2010 mise anche in vendita la squadra. Voleva davvero mollare tutto?
«Inconsciamente no. Consciamente pensavo che forse ero d’ostacolo al Torino. I tifosi contestavano. Mi sono detto: se si presenta qualcuno con voglia, con soldi, e con capacità migliori delle mie, si faccia pure avanti. Poi sono arrivati mister X, ovvero Ciuccariello, e Tesoro e mi sono detto: meglio che continui io».
Com’è il suo rapporto con i tifosi?
«Direi buono».
Oggi che vince. In passato...
«Se perdi la gente è delusa, è comprensibile».
Il suo cellulare è sempre pubblico e aperto alle critiche dei tifosi?
«Oggi un po’ meno. Diciamo che nei momenti difficili la cosa non era di facile gestione...».
Una volta montava e smontava squadre e cambiava tecnici, oggi si dice che il Toro ha un progetto. E lo stesso allenatore da 5 stagioni.
«All’inizio si sbaglia e si impara. Oggi credo di essere un presidente migliore di quanto lo fossi dieci anni fa. E ho cieca fiducia nelle persone di cui mi circondo, da Petrachi a Ventura».
Negli ultimi anni ha ceduto Ogbonna, D’Ambrosio, Immobile, Cerci e Darmian, eppure ogni anno la squadra migliora.
«Per forza di cose dobbiamo far cassa. Il segreto è avere sempre già pronto un sostituto».
La vittoria al San Mames è stato il suo momento più bello da presidente?
«Quella è stata l’apoteosi, vincere in casa dell’Athletic Bilbao. Ma il top resta la stagione precedente, con quel crescendo partita dopo partita. E lo scudetto Primavera, dopo che 10 anni fa il nostro settore giovanile era stato smantellato».
Prossimo obiettivo?
«Essere sempre più Toro».
Ovvero?
«Diversi e migliori».
Buon compleanno.