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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

Bergoglio e la grande amnistia. In vista del Giubileo straordinario della Misericordia, vuole riconciliarsi con i Lefebvriani e offrire il perdono a chi ha abortito. La scelta di Francesco scatena polemiche

Una «grande amnistia», l’assoluzione dei peccati per chi ha abortito e la riconciliazione con i lefebvriani. Papa Francesco l’Anno Santo 2015 lo auspica così. Perché «il perdono di Dio, a chiunque è pentito, non può essere negato», ricorda in un documento inviato a monsignor Rino Fisichella delegato per l’organizzazione del Giubileo della Misericordia, diffuso ieri.
Nella lettera papa Bergoglio ricorda come «il Giubileo ha sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli della pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto».
Un invito all’amnistia che ha generato reazioni diverse. Da Marco Pannella, che esulta perché Bergoglio ottempera a «quanto formalmente richiesto dal presidente Napolitano alle istituzioni». Al «no» netto del leader leghista, Matteo Salvini: «Penso alle vittime dei loro reati». Dal parere favorevole dell’Ncd: «L’appello deve essere materia di riflessione per tutti laici e cattolici». Fino al gentile rifiuto del Pd: «Il Papa parla per tutto il mondo – spiega David Ermini, responsabile giustizia del partito di Matteo Renzi —. Noi, strumenti di clemenza per chi si pente ce li abbiamo già: pensiamo alla messa in prova. Invece un provvedimento generalizzato riguarderebbe anche chi non si pente affatto. E non andrebbe nella direzione richiesta dal Pontefice». Attualmente sono 52.144 i detenuti per 49.655 posti. Erano circa 66 mila quando Strasburgo condannò l’Italia per il sovraffollamento. Il Papa auspica che per loro «giunga concretamente la misericordia del Padre».
Una novità di questo Giubileo sarà che l’indulgenza dei peccati sarà concessa dentro i penitenziari: «Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa». Una decisione in linea con la scelta di concedere non solo nelle basiliche romane, nelle cattedrali e nei santuari, il perdono dei peccati.
Destinata a far discutere anche l’apertura a chi ha abortito, ai medici e agli infermieri che vi hanno partecipato. La possibilità di assolvere, quello che definisce un «gravissimo male», «profondamente ingiusto», ora riservata ai vescovi, papa Francesco la estende nel Giubileo a tutti i sacerdoti. E nella lettera fa riferimento al «dramma esistenziale e morale» e alla cicatrice che la donna porta nel cuore dopo questa «scelta sofferta». Pur sottolineando la «consapevolezza superficiale», con la quale è vissuto oggi questo dramma, «quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta». Sono 103 mila ogni anno le interruzioni di gravidanza. Il 4,2% in meno dell’anno precedente. E una donna su tre è straniera.
La terza novità di questo Giubileo sarà l’avvio di una riconciliazione con la Fraternità San Pio X, fondata dall’arcivescovo tradizionalista Marcel Lefebvre, autore di uno scisma. Bergoglio scrive che le assoluzioni dei preti lefebvriani sono pienamente valide.
Virginia Piccolillio
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Un testo informale per decisioni forti: la lettera di ieri sull’indulgenza giubilare ha il tono dimesso e nuovo dell’apparizione di Francesco al balcone dopo l’elezione. Come quando scrive ai nuovi cardinali per richiamarli alla sobrietà, o quando dice a braccio ai vescovi italiani che occorre ridurre il numero delle diocesi, così per il «perdono» giubilare (indulgenza vuol dire perdono) dice di più dei predecessori senza ricorrere al latino e senza citare i sacri canoni. 
Le decisioni che comunica con un testo in italiano, firmato «Francesco», sono tutte nel segno dell’avvicinamento della Chiesa all’umanità tribolata (donne che hanno abortito, malati, persone sole e anziani, carcerati) e nel segno della semplificazione del linguaggio e delle norme. Ma non è una bolla, non è un motu proprio, non è una «lettera apostolica», esce da tutte le forme della tradizionale decretazione pontificia: è una lettera all’arcivescovo Fisichella, responsabile organizzativo del Giubileo. In pratica, una comunicazione di servizio. 
Per l’aborto c’è la scomunica e dunque ordinariamente il confessore dirà alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere a tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con la decisione di ieri il Papa ha dato a quella facilitazione la massima estensione. 
«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere facilitatori della Grazia», ha detto una volta Francesco. Con questa disposizione non tocca la dottrina sulla gravità del «peccato d’aborto», che qualifica come un atto «profondamente ingiusto», ma vuole che nei mesi del Giubileo si dia un segno più ampio di comprensione per chi ne sia pentito. 
Lo stesso per i carcerati: non possono andare in pellegrinaggio, ma forse possono andare alla cappella del carcere, o comunque hanno una porta che chiude la loro cella; ebbene, dice Francesco con un salto simbolico di straordinaria efficacia: ogni volta che passeranno per la porta della cella, «possa questo gesto significare il passaggio della Porta Santa». 
Per le carceri Francesco non chiede formalmente «una grande amnistia», pur usando queste parole, ma forse la chiederà prossimamente. Il documento di ieri si limita a ricordare che la tradizione vedeva legati fra loro i giubilei e le amnistie: ieri parlava alla Chiesa, forse un giorno parlerà alle autorità degli Stati, come già Wojtyla nel 2000 e chiederà «un gesto di clemenza». 
La lettera di Francesco è il documento papale con meno forma e più sostanza che sia mai stato fatto sul perdono giubilare, che una volta era anche detto «perdonanza». Esso potrebbe anche avere un effetto liberante rispetto allo spinoso tema delle indulgenze, che sono state all’origine della «protesta» di Lutero e che divide oggi gli stessi teologi cattolici tra quanti le ritengono imprescindibili e quanti le vorrebbero abbandonare. 
Francesco le propone, ma con tale novità di linguaggio e di contenuti da sottrarle, almeno in parte, alla polemica. Non dice «lucrare» o «acquistare l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradizionale, non distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», usa la parola indulgenza come sinonimo di «grazia del Giubileo». Insomma riduce ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi Papi, gli elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi penitenziale cattolica che arriva con il secondo millennio della storia cristiana e che risulta ostica ai cristiani che non appartengono alla Comunione cattolica. 
Luigi Accattoli