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 2015  settembre 01 Martedì calendario

Barbados, così l’isola del rum vuole emanciparsi da Londra. Sia chiaro «Non abbiamo risentimento per la regina, è solo che vogliamo diventare un Paese moderno. Accettiamo il fatto che lei e i suoi successori rimarranno in cima al sistema di cui facciamo e faremo parte, ma come ordinamento costituzionale dobbiamo passare da monarchia a repubblica, e dobbiamo farlo subito. Siamo pronti a batterci, con le armi della politica, non dimenticate che in noi scorre un po’ di sangue dei pirati dei Caraibi»

La fila si estende dal marciapiede alla riva del mare, tra i ritmi reggae e i fumi dei barbecue che bruciano carbonella al passo di una vecchia locomotiva a vapore. La gente attende paziente che si liberi uno dei tavolacci che riempiono la spiaggia davanti ad «Uncle George Restaurant», un’istituzione del posto. 
È il «Friday Fish Fried», ricorrenza fra le più sentite del calendario ludico delle Barbados. Siamo ad Oistins, villaggio nella punta meridionale di quella che viene considerata una delle perle dei Caraibi, sul versante orientale una volta regno dei bucanieri. Ordiniamo il «flying fish» accompagnato dalla Banks Beer, birra locale che ha da poco conquistato anche gli Usa. Non possiamo fare a meno di ascoltare le chiacchiere dei vicini, una famiglia di Bridgetown, capitale delle Barbados. «Ha fatto bene, è quello che ci serve, c’è un inizio e una fine per ogni cosa, è venuto il momento di voltare pagina». I commenti riguardano la proposta del primo ministro, Freundel Stuart, «di diventare una repubblica». 
Con l’amico di Rihanna
Barbados è un’ex colonia britannica, oggi stato sovrano del Commonwealth, ma con capo di Stato la regina d’Inghilterra. Per non pochi cittadini, mantenere questo ordinamento «è anacronistico e limita la legittimazione dell’identità nazionale». «Occorre andare avanti, per il bene dell’isola», ci dice Don John. È lui che ci guida alla scoperta delle Barbados con la sua auto, lo fa tutto l’anno per i turisti. È autista, guida e intrattenitore allo stesso tempo. 
Nel suo quartiere abita la famiglia di Rihanna, e lei era sua compagna di scuola. Con lui visitiamo l’isola in lungo e largo, le magnifiche Brighton Beach, Sandy Lane Beach e Mullins Beach, le cittadine di Bridgetown e Holetown, con le case basse e colorate e le distillerie dove si produce il rum. 
Barbados ha diversi volti, quello del versante occidentale con le incantevoli spiagge e il mare morbido e cristallino. L’isola è alla stessa latitudine del Venezuela, non lontano dall’equatore, e le giornate sono quasi perfettamente divise in 12 ore di luce e altrettante di notte. La punta sud, dove si incontrano le correnti è zona di surfisti, in particolare di quelli del «kite», ma c’è anche la meraviglia naturale di Crane Beach, famosa per la sua sabbia rosa. All’interno ci sono piantagioni di cotone e riserve naturali, mentre il versante orientale, quello che affaccia sull’Atlantico, è dominato da scogliere e onde minacciose, come a voler mettere in guardia la ex madre patria britannica. 
«Non abbiamo risentimento per la regina, è solo che vogliamo diventare un Paese moderno», dice Don John. Quello di Barbados non vuole infatti essere uno strappo «della provincia dell’impero», ma una riforma pacifica e democratica, con rispetto nei confronti di Elisabetta II. 
Verso la repubblica
La conferma è che l’isola vuole rimanere nel Commonwealth. «Rispettiamo la regina e accettiamo il fatto che lei e i suoi successori rimarranno in cima al sistema di cui facciamo e faremo parte, ma come ordinamento costituzionale dobbiamo passare da monarchia a repubblica, e dobbiamo farlo subito», ha detto Stuart rivolgendosi ai colleghi del Partito laburista democratico (Dlp), che incarna la maggioranza.
George Pilgrim, il segretario del Dlp, spiega che la transizione andrebbe compiuta nel 50° anniversario dell’indipendenza, dichiarata il 30 novembre del 1966. «È il completamento della legittimazione come Nazione», prosegue il politico, dopo l’indipendenza e l’adesione alla Corte di giustizia caraibica al posto del «Privy Council» di Londra. 
Non è la prima volta che le istanze «repubblicane» emergono da queste parti, già nel 2005 l’allora premier Owen Arthur avanzò la proposta. Questa volta tuttavia i tempi sembrano più maturi: basterebbero i due terzi del Parlamento, e l’opposizione sembra non contraria all’ipotesi. Lo sono invece molti anziani e i cosiddetti «lealisti», secondo cui la monarchia garantisce stabilità. Ma i giovani non ci stanno e dicono che i vantaggi sarebbero anche economici: non che Barbados, 53° Pil del mondo con 280 mila abitanti e un paradiso turistico oltre che fiscale, versi «gabelle» a Buckingham Palace, e tutto sommato lo stipendio della classe media è di circa mille dollari, «ma lo status di Repubblica sveltirebbe molte riforme di cui abbiamo bisogno – ci dice Don John – come per i taxi o le concessioni immobiliari». E se Londra si dovesse opporre? «Siamo pronti a batterci, con le armi della politica, non dimenticate che in noi scorre un po’ di sangue dei pirati dei Caraibi», chiosa prima dell’arrivederci. Il saluto è affidato a un bigliettino che scrive con la matita con cui raccoglie i «dreadlock»: «L’anno prossimo tornate, vi farò conoscere la Repubblica di Barbados».