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 2015  settembre 01 Martedì calendario

«Fra il 2008 e il 2013 il turismo è aumentato del 18% ed è troppo per Barcellona, che non è Parigi». Così la sindachessa Ada Colau vuole adottare la linea dura contro gli affittuari di Airbnb o Booking: con un’offerta di oltre 137mila bed and breakfast individuali è stata raddoppiata quella autorizzata di 78.400 posti: «Lo stop di un anno servirà a fare una radiografia dell’esistente, con la partecipazione dei barcellonesi. Si tratta di democratizzare il modello turistico»

«Barcellona non farà la fine di Venezia!». Più che una dichiarazione di intenti è stato un autentico grido di battaglia quello con cui Ada Colau, già «pasionaria» attivista anti-sfratti, si è insediata a maggio sulla poltrona di sindaco. Prima «alcaldesa» dopo 119 sindaci uomini, alla guida di «Barcelona en Comú» – arcipelago di sinistra che va da Podemos ai rosso-verdi catalani E ai movimenti di cittadini – Colau ha intrapreso con lo stop alle licenze per nuovi hotel e per appartamenti turistici privati la crociata contro il turismo degli eccessi e del sovraffollamento, degli schiamazzi e dei comportamenti incivili sulle Ramblas e alla Barceloneta. Per restituire la città – meta di 27 milioni di arrivi – ai barcellonesi. Ma soprattutto ha inaugurato la linea dura contro l’esercito dei nuovi affittuari attraverso il web con AirBnB o Booking: con un’offerta di oltre 137mila bed and breakfast individuali è stata raddoppiata quella autorizzata di 78.400 posti. E ora la «alcaldesa» vuole che le piattaforme web facciano i nomi dei proprietari delle case: «Svolgono un’attività illegale e non pagano le tasse. Le regole devono essere uguali per tutti», assicura la battagliera prima cittadina, al lavoro nella canicola agostana nel suo ufficio di Plaza San Jaume. 

A causa del turismo Venezia è solo un paradigma negativo?
«Sono contenta di poter chiarire le mie parole. Amo moltissimo Venezia e il paragone serviva proprio a riflettere il rammarico per la città che ha perduto tanti abitanti, espulsi dal turismo senza limiti. Noi vogliamo una città bella, ma anche sostenibile. Fra il 2008 e il 2013 il turismo è aumentato del 18% ed è troppo per Barcellona, che non è Parigi. Sono cifre che ricordano la bolla immobiliare e il disastro che ne è poi venuto. E sono in rapporto agli squilibri che sono andati crescendo: il centro storico si è svuotato del 30% della popolazione. Ci sono state proteste per l’aumento dei prezzi, degli affitti, dei trasporti, dei problemi di convivenza nello spazio pubblico. Va fatto ordine, vanno pianificate politiche di lungo periodo». 
Per questo la moratoria?
«Sì, lo stop di un anno servirà a fare una radiografia dell’esistente, con la partecipazione dei barcellonesi. Si tratta di democratizzare il modello turistico, finora appannaggio dei grandi gruppi, delle catene alberghiere, delle imprese legate al settore. Gli abitanti della Barceloneta o del Port Vell dal 2008 denunciano la situazione fuori controllo. Ma non è mai troppo tardi. Abbiamo creato una commissione alla quale tutti possono partecipare per redigere un piano strategico del settore e degli alloggi turistici. Non vogliamo ripetere gli errori, come la bolla edilizia che prometteva ricchezza permanente e ci ha portato alla rovina. Il ruolo dell’amministrazione, che la cittadinanza reclama, è di regolatore».
E il circuito di Formula 1?
«Del circuito di Formula 1, che è a Montmeló, abbiamo denunciato la gestione del denaro pubblico del Comune, utilizzato per interessi di partito, coprendo spese che non erano di Barcellona, ma per aiutare la Generalitat. Ci siamo chiesti se sia realmente una priorità rispetto ai servizi primari». 
Le prime azioni di Ada Colau sono state simboliche…
«Non è vero. Fra le prime misure abbiamo ampliato i fondi per le mense per garantire l’alimentazione adeguata ai bambini. Ma le prime pagine dei giornali non hanno ritenuto di dover titolare su questo». 
Le linee guida del suo piano-choc prevedono 50 milioni di investimenti per l’occupazione e la garanzia dei diritti di base, oltre alla revisione o alla revoca di grandi progetti, come la Marina del Port Vell. Ma è riuscita a frenare gli sfratti?
«Ci stiamo lavorando. Ora studiamo accordi per destinare migliaia di case vuote ad affitti sociali che non superino il 30% del reddito delle famiglie. Il Comune è disposto a investire nella manutenzione in cambio di una cessione quinquennale o decennale degli alloggi. Se le banche non rispondono, allora le multiamo, in base a un’ordinanza che già esisteva da due anni, ma che finora era rimasta lettera morta».
Dopo le polemiche, in Europa per la piattaforma digitale di Airbnb arrivano le prime sentenze contrarie. In Svezia il tribunale di Hyresnämnden ha sentenziato che l’affitto tramite Airbnb è equiparabile a un «business hotel», negando quindi a una donna la facoltà di mettere in affitto il suo alloggio attraverso la piattaforma online. «Speriamo che questo faccia arrivare al popolo il messaggio che non è possibile affittare a proprio piacimento», ha sottolineato il giudice Anne Bratt Norrevik.