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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

Le fatiche di Valentino Rossi, un campione, non un eroe. È stato battuto ma poi, a testa china, mangiando polvere, ha superato di nuovo tutti. È stato salvato dalla disciplina: ogni giorno nel suo ranch, si allena con una torma di ragazzi che ha la metà dei suoi anni. Finge di insegnare e invece impara da loro. È l’uomo maturo capace di ritrovare la serietà che da bambini si metteva nei giochi e tutto quel che si può scriverne adesso è: provate a prenderlo

Non perché  vince, ma per il modo in cui lo (ri)fa. Non perché sia imbattibile, ma proprio perché è stato battuto, è rimasto indietro, ha mangiato e sputato la polvere, ha recuperato fino a non vedere più nessuno davanti. Non perché sia perfetto, ma perché ha sbagliato e ha capito che doveva riscattarsi di fronte a se stesso, prima che a chiunque, uno, nessuno, centomila, lo amasse. Infine e soprattutto: non per il talento, ma per la disciplina che ha messo nell’andare a raccoglierlo in fondo alla clessidra degli anni, fosse ancora una goccia, curarla ed estrarla, una perla di luce, da far splendere come un simbolo di possibilità. Per tutto questo Valentino Rossi oggi rappresenta molto più di quel che è stato, molto più del campione che brillava in un falò di gioventù. È l’uomo maturo capace di ritrovare la serietà che da bambini si metteva nei giochi. È l’essere ferito dalla consapevolezza della fine oltre la curva e per questo in grado di affrontarla senza cadere. È una felice anomalia italiana: per l’impegno che profonde in ogni giorno feriale, assicurandosi e assicurandoci che arriverà la festa; per il rispetto assoluto e l’ironia complice con cui tratta gli avversari; per il felice paradosso di essere vecchio a metà della vita e allora rottamatevi questo, ma prima provate a prenderlo, se ci riuscite.
Con la vittoria surf sul circuito di Silverstone Valentino Rossi ha aggiunto un capitolo a una storia che si sta scrivendo da sola per forza di volontà e destino. Ha dentro, come tutte le grandi narrazioni, la dote di essere ineluttabile. Comincia il 23 ottobre 2011 in Malesia quando praticamente ai piedi di Valentino Rossi muore il suo amico fraterno Marco Simoncelli. Non c’è punto più basso nella sua esistenza: è a fondo gruppo, con una moto inadeguata frutto di una scelta sbagliata, con un’immagine pubblica scalfita dalle accuse di evasione fiscale. Finito, dicono. E ora questo dolore, questa perdita. Che cosa ti resta? Niente. E tutto. Valentino impiegherà mesi e tormenti per fare un gesto semplice: andare a trovare i genitori di Marco nella loro casa su due piani, dove trasportano ogni sera di sopra e ogni mattina di sotto quel che resta del figlio. E ora non aspettatevi la retorica: l’amico fantasma caricato sul sedile, vieni che andiamo a rivincere insieme. Quelli che abbiamo perso sono pesi che abbiamo dentro, ma come lo sono polmoni e cuore: organi (ri)vitali. Valentino Rossi è tornato, non più leggero, e ha fatto un gesto nobile: ha chinato la testa. È ripartito da quel che aveva ancora, dalla smisurata fortuna di averlo ancora.
Il peggior torto che gli si possa fare sarebbe considerarlo un supereroe come quelli dei fumetti, pow! Zam! Costume numero 46 e un’altra impresa è fatta. O vedere soltanto l’allegria del dopo corsa e lasciarsene pigramente contagiare, che ci vuole? Fatica ci vuole, una fatica immensa. Non cercate Valentino Rossi in un locale di Londra a festeggiare, non invitatelo a Milano per un evento: è già nel suo ranch ad allenarsi con una torma di ragazzi che ha la metà dei suoi anni. Finge di insegnare e invece impara da loro: gli scarti che fa fare l’entusiasmo, il coraggio della felicità, il punto massimo fino a cui può abbassarsi la moto in piega. E di conseguenza, la forza necessaria per rialzarla. Quindi non chiedetegli un’intervista: è in palestra. E domani invece? Sarà in palestra. Non si arriva primi per acclamazione, nessuna serie di successi determina immunità alcuna e non c’è anagrafe o biografia che valgano il momento. La riuscita è una prova discontinua, nel senso che la vera grandezza sta nel riaffiorare dal retrovisore con la cicatrice, la condanna, tutto quel che hai perso, tutto quel che hai vinto. Finalmente pronto per la parte. Nei campioni bambini c’è un lato oscuro, un capriccio irrisolto, a volte la desinenza ferale che ha travolto, ad esempio, Pistorius. Se vanno oltre, fino a diventare uomini, possono affrancarsene. L’ineluttabile destino sportivo di Valentino Rossi ha un appuntamento preciso: quattro anni dopo in Malesia. Tutto quel che si può scriverne adesso è: provate a prenderlo.