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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

Facciamo il punto su Shanghai e sulle otto Borse più calde dell’estate. La scorsa settimana il contagio da vendite si è diffuso da Pechino all’area asiatica tutta, a partire dal Sud Est, una zona di vitale importanza per la Cina, soprattutto dal punto di vista commerciale, attaccando quindi Malesia, Indonesia e più a Nord, Corea del Sud e Giappone

Per la prima volta, la settimana scorsa, la Cina ha fatto da epicentro di un vero e proprio terremoto borsistico, un primato di cui – c’è da giurarci – la seconda potenza mondiale avrebbe certamente fatto a meno, ma che spiega quanto il Paese, nonostante la persistente chiusura dei suoi mercati, faccia parte integrante di un mondo ormai globalizzato. Il contagio da vendite si è diffuso da Pechino all’area asiatica tutta, a partire dal Sud Est, una zona di vitale importanza per la Cina, soprattutto dal punto di vista commerciale, attaccando quindi Malesia, Indonesia e più a Nord, Corea del Sud e Giappone. Il contagio ha fatto leva sui deboli fondamentali della Cina, in particolare il dato della produzione il cui indicatore provvisorio di agosto si è attestato sotto quota 50, la linea che separa crescita da contrazione.
Oggi dovrebbe essere diffuso il dato definitivo Caixin-Markit, sempre che non si congeli anche questo indicatore per ragioni di opportunità (la parata militare del 3 settembre): la Cina ha chiesto una sorta di embargo sui dati fino alla seconda settimana di settembre.
Il 12 giugno sarà ricordato come il picco del toro borsistico cinese, da allora in poi, tra alterne vicende, la Cina ha guidato suo malgrado la peggiore performance dal 2007. Complice anche un improvvido taglio l’11 luglio di due punti dello yuan, probabilmente in vista di un possibile inserimento nel paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario della divisa di Pechino slittato poi al 2016.
Oltre metà del valore di borsa delle piazze cinesi è andata in fumo, l’indice Shanghai Composite è finito sotto quota 3mila. Sembrava di tornare ai tempi dei mutui subprime, le contrattazioni a Wall Street sono state sospese, fino al terribile Black Monday, il 25 agosto, data in cui i listini a Shanghai hanno perso l’8,5 per cento. Un salasso che sarà ricordato per sempre negli annali della Cina moderna.
A metà settimana i pesanti interventi della Banca centrale che ha iniettato a più riprese fino a 250 miliardi di dollari, tagliato i tassi per la 5° volta a partire da novembre e i ratios, i limiti alle riserve bancarie. Una manovra, quest’ultima, in grado di sviluppare altri 100 miliardi. Le Borse e soprattutto l’economia sono state tamponate a suon di iniezione di liquidità. Di fatto il mondo si è messo a scommettere contro la Cina. Adesso ci si chiede se tutto questo poteva essere evitato, se proprio doveva succedere e se, soprattutto, succederà ancora. La Cina a lungo ha alimentato la corsa prima all’indebitamento immobiliare, poi alla Borsa, i cui protagonisti sono passati a quota 90milioni, oltre il numero degli iscritti al partito.
Ma l’indebitamento per investire in Borsa si è scontrato contro un muro, l’idea che la Cina non sia una cosa stabile e che le autorità cinesi non stanno facendo abbastanza per favorire la ripresa della crescita. Dopo il crollo, da oggi, comunque, la giostra riparte.