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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

Le trame di Frederick Forsyth sono belle, credibili ma soprattutto autentiche. Finalmente lo scrittore ammette di aver collaborato con l’MI6 durante la Guerra Fredda: «Se qualcuno ti chiedeva: puoi farci un favore? Era molto difficile rispondere di no». Era un abile «consulente» spia, che però non mai ricevette mai un soldo dai servizi segreti. In cambio, gli 007 gli correggevano le bozze dei romanzi

I veri correttori di bozze stavano lungo il Tamigi, nel palazzo dei servizi segreti di Sua maestà. Frederick Forsyth telefonava a un numero riservato e leggeva i passi più «sensibili» di quelle trame complesse e avvincenti che gli hanno fatto vendere 70 milioni di libri nel mondo, Il Giorno dello Sciacallo, Dossier Odessa, Quarto Protocollo, La lista nera. A volte spediva parti di manoscritto via fax. E la risposta, dopo qualche giorno, era sempre un incoraggiante «Ok Freddie».
Il 25 agosto scorso Frederick Forsyth ha spento la settantasettesima candelina e ha riguardato le prime copie della sua attesa autobiografia, The Outsider: my life. Che nel corso degli anni avesse intrattenuto una relazione speciale con gli 007 era più di un sospetto da tempo. Così curate e così ricche le atmosfere che solo un perfetto collaboratore dell’intelligence poteva descriverle con tanta maestria. Adesso è arrivato il momento di confessarsi pubblicamente. Con un’autobiografia, appunto. Con un’anticipazione al Sunday Times. E con un’intervista alla Bbc.
Per buona parte della sua carriera, un paio di decenni, «Freddie» ha collaborato con l’MI6, il controspionaggio britannico. «Bisogna capire il periodo della Guerra fredda, se qualcuno ti chiedeva: puoi farci un favore? Era molto difficile rispondere di no». Pilota della Raf, anzi uno dei piloti più giovani dell’aviazione militare, passò per passione alla carriera giornalistica nell’agenzia Reuters, corrispondente dall’estero, poi nella Bbc e successivamente in alcune fra le testate più importanti del Regno e al Time Magazine. Per dedicarsi infine, a partire dagli ultimi anni Sessanta, alle spy story.
Era all’inizio di una fantastica carriera da scrittore. E avvenne l’aggancio, come collaboratore esterno, dell’agenzia investigativa. Stava partendo per un reportage sulla guerra in Biafra, il conflitto etnico che cominciato nel luglio 1967 costò la vita a tre milioni di persone. «Ci dai una mano? È vero che molti bambini vengono uccisi? Raccontaci che cosa realmente avviene». La posizione ufficiale del Foreign Office e del governo di Londra era quella di negare e di appoggiare la dittatura di Lagos.
La realtà era assai diversa. «Io mandavo regolarmente articoli per i giornali e parallelamente rapporti per il servizio segreto che aveva una posizione diversa da quella dell’esecutivo. Non ebbi difficoltà a confermare che i bambini morivano come mosche».
Fu l’agente Ronnie a contattarlo. E le confidenze proseguirono, con uno scambio continuo di informazioni, che si allungò ben oltre la guerra civile. Circostanza che consentì a Frederick Forsyth di mettere a punto un bel po’ di dettagli pratici, poi utili per le trame dei suoi romanzi. Ad esempio che le spie chiamavano «la Ditta» (the Firm) la loro organizzazione, il Sis ovvero il «Secret Intelligence Service», comunemente definito MI6. O che gli agenti erano gli «Amici» (the Friends). Mentre gli 007 della Cia erano i «Cugini». Che un informatore infiltrato era un «Asset», una «Risorsa». E che il «Mediatore», l’uomo incaricato dei contatti con «Asset», era l’«Handler», il manipolatore o l’addestratore o l’accompagnatore.
Capitò anche a Frederick Forsyth di diventare «Handler». Lo ammette lui stesso. E fu subito dopo la pubblicazione de Il Giorno dello Sciacallo, il libro che lo consacrò e divenne film di successo. Il servizio segreto britannico aveva in mano un generale della Germania dell’Est, un confidente importantissimo. L’MI6 aveva bisogno di entrare in possesso di alcuni documenti e di materiale che l’alto ufficiale era pronto a consegnare. Frederick Forsyth, nel 1974, partì come semplice turista e portò a compimento la missione: incontrò il generale e rientrò a casa con il tesoro informativo. «Con qualche paura perché a un certo punto, al confine, fui avvicinato e inseguito da un membro della Volkspolizei, la polizia popolare». La scampò per un pelo. E atterrò in patria. Pronto a viaggiare per altre «missioni» fuori dall’Europa, in Africa.
Un grande scrittore. E un abile «consulente» spia, che mai ricevette un soldo dai servizi segreti. Però, in sede gli 007 gli correggevano le bozze dei romanzi. «Ok Freddie». Un successo via l’altro. Trame credibilissime. Belle. Autentiche. Poteva essere altrimenti?