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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

Benvenuti nell’era del viaggio insicuro. Come sono lontani i tempi dell’Orient Express, quando il mondo era percorribile e aperto: i Balcani sono ancora martoriati da contese etniche, Cipro resta diviso, il Medio Oriente è flagellato da guerre, l’Africa è instabile

La meraviglia circolare della sala da ballo all’Hotel Esplanade di Zagabria, che ricorda il cinematografico “Grand Budapest Hotel”, è sbarrata ai clienti, “chiusa per preservarla”, dice il cameriere. Al centro della volta occhieggia uno smeraldo, vanto e icona di lusso di quello che è stato descritto come il più bell’albergo tra Europa Orientale e Medio Oriente. “Esplanade” indica la spianata a ovest della stazione ferroviaria di Zagabria. E all’Esplanade sostavano i passeggeri dell’Orient Express alla prima tappa nei Balcani, prima del grande slancio verso Costantinopoli-Istanbul.
Negli anni ’30 c’era ancora un sapore imperiale asburgico da Mitteleuropa. Il mondo era percorribile, aperto. Le diverse rotte dell’Orient Express, originariamente tra Parigi e Varna in Bulgaria con estensione di traghetto a Istanbul, si rincorrevano e proseguivano idealmente in viaggi che oltre il capolinea dell’Orient Express portavano senza soluzione di continuità fino in India. Oggi l’Esplanade è piuttosto l’icona di un mondo globalizzato nel quale i confini si moltiplicano e ai nuovi muri si aggiungono quelli invisibili che separano popoli e persone. Bivacco dorato degli inviati di mezzo mondo durante le guerre jugoslave, aveva stanze che erano piazze d’armi. La ristrutturazione del 2002-2004 le ha ridotte, parcellizzate, proprio come il nostro mondo “ristrutturato” dopo il crollo degli Imperi (e del Muro di Berlino), col paradosso che la globalizzazione ha coinciso con nuove separazioni, con ostacoli, pericoli. E percorsi tortuosi per chiunque voglia viaggiare, con tante tappe da evitare.
BATTUTE DI CACCIA
All’Esplanade, una parete a specchio ha cancellato il corridoio che nel ’91 portava al Bistrot e al Casinò, gestito da un italiano con croupier mozzafiato e diversivi di sparatorie notturne. I “vecchi” della Concierge, negli impeccabili completi che sfidano l’afa, non comunicano coi giovani smanettatori di Internet al banco del check-in. La famosa Suite Tito, dove l’ex dittatore si concedeva leggendarie notti d’amore, è stata prima ribattezzata Suite Orson Welles, cliente storico, poi più banalmente Suite Presidenziale. Uno dei capilinea dell’Orient Express era Londra attraverso Calais, teatro oggi di battute di caccia all’uomo dei doganieri britannici, speculari a quelle francesi a Ventimiglia. Guardando verso Mediterraneo e Medio Oriente, vedo guerre e confini blindati.
I flussi migratori lungo la nuova rotta Balcanica, un paradossale Orient Express al contrario, finiscono nei 175 chilometri di filo spinato del muro ungherese. Nella stessa Croazia dell’Esplanade, villaggi come Benkovac nell’entroterra dalmata sono monumenti alla segregazione. A fuggire sono stati prima i croati, poi i serbi. Sono ancora là i muri crivellati e i tetti che le bombe hanno fatto afflosciare. La guerra è finita, l’odio no. Il Kosovo, più a sud, è tuttora conteso fra la popolazione albanese e la Serbia gelosa delle proprie radici e dei propri monasteri. La Macedonia, dove la polizia usa i lacrimogeni contro i migranti, ufficialmente si chiama Fyrom, per non urtare la suscettibilità dei greci per i quali esiste una sola Macedonia, quella greca. Cipro langue in uno stallo armato di spartizione irrisolta tra greci e turchi. La Turchia, poi, tradisce l’insegnamento laico di Ataturk, trasformandosi in un Paese islamista che rende la vita difficile alle donne.
In Siria è impossibile percorrere la strada che taglia da Damasco al confine con l’Iraq: nel mezzo ci sono le (rovine delle) rovine di quello che era un commovente gioiello patrimonio dell’umanità: Palmira, via via ridotta in polvere dalle cariche dinamitarde dell’Isis. Lo Stato islamico si è installato su un territorio grande quanto l’Italia, con succursali in oltre 20 Paesi. In Libia, deserto e resti di colonie romane contemplano muti la sanguinosa guerra civile. Anche l’Egitto è a rischio, impercorribile nella sua interezza a meno di sfidare le incognite delle incursioni jihadiste nel Sinai.
NUOVI MURI
Israele, asserragliato a presidio di almeno cinque confini, vede nuovi muri dividere la propria gente con gli attacchi assassini degli estremisti ultra-ortodossi e dei coloni a gay e palestinesi. Una mobile ragnatela di sangue dissemina linee di demarcazione in Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen. In Africa il Sudan è spaccato in due entità, indigesto agli stranieri. La Somalia è un non-Stato. E dà rifugio ai pirati. Il Kenya soffre gli assalti alle corriere e ai centri commerciali. La Nigeria è stuprata da Boko Haram e nel Mali, Timboctu testimonia il coraggio migratorio degli esploratori europei ma è avamposto contro i mercenari passati da Gheddafi al Jihad. Perfino il Kashmir, in India, era un paradiso ma da molti anni è teatro di guerra. Risalendo verso l’Europa, l’instabile equilibrio delle ex Repubbliche sovietiche cela conflitti latenti, mentre la Russia si riscopre imperiale nella crisi che riapre la guerra fredda in Ucraina. Più che di mondo globalizzato, si dovrebbe parlare di implosione globale, di mondo che è un angosciante puzzle di nuove enclave. Una gigantesca Esplanade, spianata e triturata dall’odio.