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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

Suzuki divorzia da Volkswagen: si riaprono così i giochi globali nel mondo dell’auto. La clamorosa decisione è stata presa dalla Corte arbitrale internazionale della Camera di Commercio di Londra che ha emesso la sentenza dopo quattro anni di furibondi litigi fra i due partner. A minare il matrimonio Wolfsburg-Hamamatsu è stato il sospetto che i tedeschi mirassero al controllo della Suzuki. Di qui la decisione dei nipponici di trattare anche con Fiat, comprando ogni anno circa 200.000 motori diesel italiani sia per il mercato indiano che per quello europeo

Si riaprono i giochi globali nel settore dell’automotive. I tedeschi di Volkswagen – al vertice della classifica mondiale assieme alla Toyota – dovranno divorziare dai giapponesi della Suzuki vendendo la loro quota del 19,9% della società di Hamamatsu. Il gigante di Wolfsburg si potrà consolare con un incasso dell’ordine dei 3,5 miliardi di euro ma perde una pedina strategica del suo disegno di espansione globale poiché la Sukuki – decimo produttore mondiale – è fortissima nel mercato indiano di cui controlla circa il 45%.
La clamorosa decisione è stata presa dalla Corte arbitrale internazionale della Camera di Commercio di Londra che ha emesso la sentenza dopo quattro anni di furibondi litigi fra i due partners. A minare il matrimonio Wolfsburg-Hamamatsu è stato il sospetto che i tedeschi mirassero al controllo della Suzuki. Di qui la decisione dei nipponici di trattare anche con Fiat, comprando ogni anno circa 200.000 motori diesel italiani sia per il mercato indiano che per quello europeo (commessa, quest’ultima, affidata alla fabbrica Fiat di Pratola Serra, in Campania). Una mossa vissuta in Volkswagen come un tradimento e vista al contrario come un’ottima opportunità da Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (FCA).
Del resto, la scelta di Suzuki di posizionarsi nella parte medio-bassa del mercato mondiale dell’auto la obbliga a lavorare assieme ad altri produttori per mantenere bassi i costi e ridurre il fabbisogno di capitale per gli investimenti. Prima di Vw, partner dei giapponesi è stata per anni l’americana GM che nel 2008 vendette la sua quota azionaria di Suzuki per tamponare le enormi perdite che la portarono al fallimento della primavera del 2009.
Per quanto possa stupire, nonostante la produzione nel 2014 di 3 milioni di auto nel mondo (oltre un terzo in India), la Suzuki è una società sostanzialmente a conduzione familiare. Il suo padre-padrone si chiama Osamu Suzuki, ha 85 anni, e da quaranta – dopo aver sposato la sorella del fondatore e averne assorbito il cognome come si usa in Giappone – dirige l’azienda sulla base di una intuizione: produrre auto piccole e robuste per i paesi emergenti o per consumatori nipponici e/o europei (Suzuki ha un grosso stabilimento in Ungheria) interessati soprattutto alla praticità. «Oggi è come se fossi rinato. Mi sono tolto una spina dalla gola», ha dichiarato ieri un Osamu Suzuki particolarmente soddisfatto.
Il signor Suzuki, però, non ha risposto alla domanda che è sulla bocca di tutti gli osservatori del settore: chi sarà il suo prossimo partner? Vista l’alleanza già sperimentata sui motori diesel, in molti pensano che Fiat Chrysler sia in prima fila.
Del resto non è un mistero che Sergio Marchionne sia da mesi alla ricerca di un partner con l’obiettivo da lui stesso sbandierato di «ridurre la quota di capitale bruciato dai troppi produttori di auto». Fallito il tentativo di coinvolgere GM nell’operazione, Marchionne ora potrebbe aprire il dossier Suzuki. Il produttore nipponico assicurerebbe a FCA quel tassello asiatico (soprattutto indiano) che oggi manca al costruttore italo-americano. FCA e Suzuki produrrebbero assieme 8 milioni di vetture. Non lontano dai 10 milioni sui quali viaggiano Volkswagen e Toyota.