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 2015  agosto 11 Martedì calendario

I falsari della medicina. Nel 1988 il biologo francese Jacques Benveniste pubblicò su Nature un articolo per sostenere che l’acqua sapeva “ricordare” le molecole, Finalmente l’omeopatia diventava scienza, peccato che...

Il 30 giugno 1988 l’autorevole rivista Nature pubblicò un articolo con 13 firme. La prima era di Jacques Benveniste, professore all’Università di Parigi-Sud, eminente immunologo, direttore di ricerca presso l’ente francese che corrisponde al nostro Istituto Superiore di Sanità. Il testo era preceduto da una introduzione del direttore di Nature dal titolo ambiguo: «Quando credere all’incredibile». L’articolo di Benveniste annunciava il rilascio di istamina «innescato da un siero anti-immunoglobuline E molto diluito». Non preoccupatevi di capire il significato della scoperta, le parole chiave sono «molto diluito», qualcosa cioè che agisce anche in quantità estremamente piccole.
Diluisci, qualcosa resterà
Molto diluito, d’accordo, ma quanto? Gli sperimentatori avevano estratto un centesimo del siero, l’avevano diluito in 100 parti di acqua e avevano ripetuto l’operazione per 120 volte. Matematicamente, già dopo 13 diluizioni nell’acqua non restava neppure una molecola di siero, cioè del principio attivo. Come poteva ancora agire?
La risposta che il team di Benveniste dava era questa: per qualche ragione misteriosa l’acqua conserva un «ricordo» delle sostanze che ha contenuto prendendone una impronta chimica paragonabile a quella lasciata da una mano sul cemento fresco. La medicina omeopatica, che si fonda su diluizioni estreme dei principi attivi, di colpo trovava una giustificazione sperimentale liberandosi dall’alone di pseudoscienza che l’aveva sempre accompagnata. E medicina omeopatica significa affari miliardari.
Il 1° luglio la notizia era sui giornali di tutto il mondo: «Scoperta la memoria dell’acqua» è il titolo ricorrente. Più cauti gli scienziati. «È una notizia fantascientifica che esce fuori da tutto ciò che sappiamo» dichiarò Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina. Reagì con scetticismo anche il biofisico Mario Ageno, allievo del Nobel Enrico Fermi: «La scienza non è fatta di nozioni separate, ognuna a sé stante, è un insieme integrato di conoscenze».
In effetti, la «memoria dell’acqua» violava tutte le nozioni chimiche e fisiche consolidate. Le 120 diluizioni ignoravano il Numero di Avogadro e quello che scherzosamente viene chiamato «teorema dell’ultimo respiro di Cesare». Spieghiamo. In un respiro un uomo emette circa 10 elevato alla 23 molecole di gas e l’atmosfera terrestre è costituita da una quantità di gas pari a circa a quella di 10 alla 23 respiri. In duemila anni le fatali molecole d’aria esalate da Giulio Cesare sibilando «Anche tu, Bruto, figlio mio!», si sono diluite nell’intera atmosfera. Dunque ognuno di noi ad ogni respiro ha quasi la certezza di inalare una molecola dell’ultimo alito di Cesare. Ma la diluizione praticata da Benveniste sul suo siero è ancora miliardi di volte maggiore!
I segreti delle molecole
Ci furono fisici illustri, come Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice, entrambi scomparsi, che cercarono di elaborare teorie per giustificare la memoria dell’acqua. Per la sua struttura, infatti, la molecola dell’acqua ha una debole polarità elettrica e oscilla: si può immaginare che tante molecole si dispongano in modo da oscillare tutte insieme come i fotoni di un laser, trasmettendo il messaggio memorizzato.
John Maddox, all’epoca direttore di Nature, fin dall’inizio aveva nutrito dubbi sulla fondatezza scientifica del lavoro di Benveniste, tanto che l’articolo era rimasto nel cassetto per un anno in attesa di precisazioni. Queste arrivarono, e infine Maddox si decise a pubblicarlo, sia pure con la sua cauta introduzione. Ma già meditava una verifica, che Benveniste fu costretto ad accettare. Maddox si presentò nel suo laboratorio accompagnato dal biologo Walter Stewart e da James Randi, un esperto di trucchi e tecniche illusionistiche che aveva già smascherato Uri Geller, un israeliano che faceva credere di piegare forchette con la forza del pensiero. I tre chiesero al team di Benveniste di riprodurre l’esperimento davanti a una telecamera. I risultati sembravano confermati ma c’era qualcosa di strano. La trascrizione dei dati era affidata sempre a Elizabeth Davenas, stretta collaboratrice di Benveniste, che li annotava a matita su un quaderno che poi portava a casa per ripassarlo a inchiostro. In questo modo potevano essere trascritti solo i dati favorevoli.
Il trucco della segretaria
Le provette erano etichettate dalla Davenas con sigle. Una sera i tre «commissari» tornarono nel laboratorio, riaccesero la telecamera e tolsero le etichette sostituendole con altre numerate con un codice casuale che annotarono su un foglio di carta. Così le provette non erano più riconoscibili né dal team di Benveniste né dai suoi controllori. In pratica si era organizzato un esperimento «cieco», nel quale è impossibile barare. Se la frode consisteva nel manipolare di nascosto le provette, neppure il manipolatore avrebbe potuto riconoscere quelle «buone». Il foglio fu sigillato in una busta sensibile alle impronte digitali e riposto in uno scaffale in alto. Randi aveva notato che nel laboratorio c’era una scala. Prima di uscire segnò il punto del pavimento dove poggiava. Il giorno dopo si doveva verificare l’efficacia dell’acqua ultradiluita.
Scale mobili
La scala era stata spostata, qualcuno aveva provato ad aprire la busta. Esaminate le provette, applicando il codice casuale, si ricostruirono le etichette originarie e venne fuori che le soluzioni omeopatiche non avevano alcun effetto. L’acqua aveva perso la memoria. Intanto era emerso un conflitto di interessi: la borsa di ricerca della Davenas era pagata da una potente casa produttrice di farmaci omeopatici, il laboratorio di Benveniste in pratica si sosteneva su quei finanziamenti.
Seguì un feroce scontro con il direttore di Nature. Benveniste, allontanato dal suo posto, non si arrese mai. Sostenne persino che la memoria dell’acqua poteva agire a distanza, per telefono e via Internet. Ad un certo punto un lavoro di Luc Montagner, Nobel per la scoperta dell’Hiv, sembrò riabilitarlo. Ma i risultati a favore della memoria dell’acqua non sono mai stati riprodotti. Benveniste è morto nel 2004 durante un intervento al cuore dopo aver ricevuto due burleschi Premi Ig-Nobel, Maddox se n’è andato nel 2009. James Randi ha 86 anni e continua a vigilare su eventuali frodi scientifiche.