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 2015  agosto 07 Venerdì calendario

Il governo spegne la musica/2. Salvatore Nastasi, direttore generale dello spettacolo dice la sua, e difende sia i parametri del nuovo decreto che disciplina la normativa, sia le scelte operate: «È vero, qualche soggetto molto ben sostenuto in passato vede ridursi il finanziamento: ma è proprio per effetto del giusto riequilibrio. E si tratta di una minoranza: infatti l’85% dei soggetti finanziati registra un aumento dei contributi nel settore danza, il 76% nel settore teatro e il 72% nella musica»

La Stampa, domenica 8 agosto

Caro Direttore, gli articoli pubblicati ieri da La Stampa meritano alcune precisazioni e dovuti chiarimenti. Come sempre, ogni riforma degna di questo nome determina contenti e scontenti. Ed inevitabili sono le critiche di chi – con i nuovi criteri per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, basati ora sulla qualità della proposta artistica e sull’oggettività delle capacità produttive – ha visto decrescere le risorse assegnate. Si tratta di criteri che tendono a riequilibrare il sistema, a rendere cioè più equa la distribuzione del Fondo unico per lo spettacolo, tagliando i ponti con un passato che vedeva nel criterio della storicità la sua matrice politica di fondo. Rilegittimando in questo senso il Fondo come uno strumento utile allo sviluppo del settore e dell’economia a questo connessa, più che al mantenimento di posizioni consolidate negli anni.
Sarebbe giusto a questo scopo che altrettanto spazio venisse dato, non in chiave polemica, a chi (moltissimi) grazie alle nuove regole ha visto incrementare il finanziamento statale. Se si cita in tal senso una realtà come l’Orchestra siciliana, senza dire che ha messo in campo insieme alla sua Regione un piano di risanamento giustamente premiato, non si possono non menzionare anche le decine di teatri ed associazioni musicali, o le nuove compagnie di danza, che hanno visto finalmente premiato il loro lavoro. Molti di questi soggetti, fino al 2014, erano esclusi dal Fondo. Non si può nemmeno tacere che nel 2015, proprio in vista dell’entrata in vigore di questa riforma, il ministro Franceschini ha deciso di incrementare le risorse del Fondo Unico nei settori prosa, musica e danza per dare maggiore sostanza a una riforma per la prima volta non dettata da esigenze di austerity. 
I dati, infatti, vanno analizzati nel loro insieme, non pescandone qualcuno a seconda di chi grida di più o della convenienza in favore di una tesi. Per sgombrare il campo dalle interpretazioni e anche dalle gravi imprecisioni riportate (solo per fare alcuni esempi, si parla, per la musica, di un taglio del 73% dei fondi alla prestigiosa Orchestra e Teatro di Tradizione Haydn di Bolzano, quando invece il valore esatto è di un aumento del 24%, oppure si racconta, per la prosa, di una bocciatura di Scenario che è invece risultata tecnicamente inammissibile o di una inesistente notevolissima diminuzione della Fortezza), sarebbe giusto che si desse risalto ai dati reali: nel 2015, per il teatro, la musica e la danza sono stati stanziati dal Ministro oltre 141 milioni di euro, con 10 milioni in più rispetto al 2014, di cui circa 5 milioni per il teatro (la «prosa al verde»?) aumentando sino a 83 il numero delle compagnie finanziate di innovazione e ragazzi («massacrati giovani e ricerca»?), circa 1 milione per la danza, e circa 4 milioni per la musica, con una quota appositamente dedicata per la prima volta dal Ministro ai progetti multidisciplinari, di promozione e presentati da under 35 anni.
È vero, qualche soggetto molto ben sostenuto in passato vede ridursi il finanziamento: ma è proprio per effetto del giusto riequilibrio. E si tratta di una minoranza: infatti l’85% dei soggetti finanziati registra un aumento dei contributi nel settore danza, il 76% nel settore teatro e il 72% nella musica. Inoltre, non è più compito del Ministero entrare nel merito del lavoro delle Commissioni tecniche, ma certamente si può affermare che non è stato un lavoro facile applicare le nuove disposizioni ed assumersi la responsabilità di scegliere non più in base solo ad una storia, ma anche sulle reali capacità e qualità delle istituzioni. 
Per tanti anni si è chiesto un sistema più equo, non legato solo alla cristallizzazione dei contributi, dove valesse lo sforzo economico realmente messi in campo e l’offerta culturale, ma soprattutto ci fossero metodi di comparazione reali e scientifici per evitare disparità di trattamento (l’algoritmo, come nei sistemi più avanzati, adottati in tanti Paesi del mondo, non è un sistema cervellotico ma serve proprio a questo, non a valutare la qualità dell’offerta). Qualcuno è scontento, protesta e fa notizia, ma tanti altri -– silenziosi – avranno contributi più alti, finalmente decisivi per le loro attività.
 
[Leggi anche le interviste a Carlo Fontana e Salvatore Accoardo]