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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

Il rapporto R&S Mediobanca: i big dell’industria privata sono più redditizi grazie all’export. Sul fronte del debito, si riduce l’esposizione verso le banche e crescono i prestiti obbligazionari.


I 50 maggiori gruppi italiani di Piazza Affari (41 industriali, sei bancari e tre assicurativi)fotografati dall’annuario R&S-Mediobanca: il 2014 conferma il comparto manifatturiero privato in grande spolvero e la “crisi” (si fa per dire, perchè g li utili prodotti sono ancora “enormi”) delle società pubbliche, più concentrate nel settore energetico e nei servizi non esportabili che soffrono maggiormente del ristagno domestico.
Industria a due velocità 
Complessivamente il fatturato industriale dell’aggregato considerato, agli ultimi dati di bilancio, cede l’1,5% sull’anno prima, una flessione dovuta all’arretramento del 7,4% del mercato italiano non compensata dall’estero, cresciuto dell’1,4%. Però la dinamica tra pubblico e privato è diversa: -4,8% i ricavi dei gruppi pubblici, +2,2% quelli dei gruppi privati. E più in dettaglio: bene la manifattura con un +5,3% – che resta frenata in Italia (-0,7%), ma corre all’estero (+6%); male il settore energetico (-4,9%) e peggio ancora i servizi (-6,2%).
Chi sale e chi scende 
Aurelia (+23,5%), Moncler (+19,4%), Fincantieri (+15,4%) e Brembo (+15,1%) sono i quattro gruppi che hanno registrato una crescita a due cifre del loro fatturato nel 2004. Aurelia (sempre +23,5%), Brembo (+14,2%), Ferragamo (+13,5%), Edizione (+11,6%) e Campari (+9,3%) sono pure riuscite a crescere in Italia, in decisa controtendenza. Hanno perso terreno invece le utilities – Iren (-18,5%), A2A (-11,7%), Acea (-8,7%), Hera (-7,2%) – insieme a Telecom (-7,7%) ed Eni (-4,2%).
Si guadagna all’estero 
Lo studio R&S-Mediobanca evidenzia una chiara correlazione tra redditività e fatturato estero. Infatti, i gruppi pubblici che hanno il 60% di ricavi oltrefrontiera mostrano un Roe (return on equity) del 5,6%, mentre i privati che arrivano al 79% con il fatturato extra-Italia hanno un indice di redditività dell’11,1%. Più ancora la manifattura privata che, con ben il 91% di quota estera dei ricavi, vanta un Roe del 14,3%. Nei servizi a quota estera è del 42%, il Roe del 4,9%. La manifattura italiana ha sfondato nel Nord-America, dove le vendite nel 2014 sono aumentate del 10,9%, è cresciuta nel Far East (+6%), si è difesa in Europa (+1,6%), ma ha segnato ancora il passo in Italia (-0,7%) e soprattutto è caduta in Sud-America (-11,4%).
Il rovescio della medaglia 
Ogni cento euro di ricavi, 34 derivano da produzione domestica (10 sono consumati in Italia, 24 esportati), ma i restanti 66 euro sono prodotti e venduti all’estero. Vale a dire che per la gran parte la manifattura italiana non investe e non dà occupazione in Italia.
Utili pubblici 
I big statali sono però ancora i più ricchi. Tra il 2010 e il 2014 i gruppi pubblici hanno prodotto complessivamente 46,5 miliardi di utili (27,4 l’Eni, 13,2 l’Enel, 4,8 la Snam), il triplo rispetto ai privati che tutti insieme hanno generato profitti per 15,1 miliardi (15,8 miliardi la sola manifattura, dato che i servizi hanno perso 700 milioni nel periodo). Se ne sono avvantaggiate le casse dello Stato o delle amministrazioni pubbliche, con 11,8 miliardi di dividendi ricevuti dagli azionisti di controllo rispetto ai 6,2 miliardi di cedole pagati agli omologhi azionisti privati. Mediamente le imprese pubbliche vantano un dividend yield migliore del rendimento dei titoli di Stato, con l’eccezione di Finmeccanica. I migliori pagatori privati: Luxottica (1,1 miliardi negli ultimi cinque anni alla famiglia Del Vecchio) e Prada (0,8 miliardi alla coppia Prada-Bertelli).
I debiti 
Negli ultimi quattro anni i debiti finanziari dei big industriali quotati sono aumentati di 32,5 miliardi: dalla raccolta obbligazionaria sono arrivati 44,5 miliardi in più, mentre le banche sono rientrate di 12 miliardi. Sulla parte del debito a medio-lungo termine, tra fine 2010 e fine 2014, la quota dei bond è salita dal 61,1% al 71,9%, il canale del credito si è ridotto di conseguenza da meno del 40% a meno del 30%. Aumentata nel periodo anche la liquidità, evidentemente a scopo precauzionale, di 34 miliardi (20 nelle imprese pubbliche, 14 nelle private). La liquidità è arrivata nel 2014 a 85 miliardi, a coprire un terzo del debito. 
Super-compensi 
I super-compensi del top management non sono un’esclusiva del mondo anglosassone. Il rapporto evidenzia che per guadagnare quanto il vertice aziendale in un solo anno, un lavoratore medio avrebbe dovuto iniziare nel 1978: nel ’95 sarebbe arrivato a pareggiare la parte fissa, nel 2014 anche quella variabile dello stipendio del “superiore”. In un caso (si può facilmente immaginare quale) il lavoratore medio avrebbe dovuto iniziare a faticare intorno all’anno Mille.
Consiglieri anziani 
L’età media degli amministratori nei consigli delle società considerate è di 58 anni, con la componente femminile che abbassa la media (52 anni contro 60), ma arriva al vertice solo nel 9,5% dei casi. I consigli delle big quotate sono insomma più anziani della Camera dei deputati (età media 46 anni) e con meno “quote rosa” (26% contro 31%). Acea ha il board più giovane con età media 49 anni.