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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

Ma l’aria condizionata è sessista? In America si scatenano le polemiche perché i termostati di uffici, cinema e ristoranti sono tarati su temperature di 50 anni fa in base al peso e al metabolismo degli uomini, che portano pure giacca e cravatta. Intanto le donne muoiono di freddo

In America la discriminazione sessuale passa anche dal termostato: uffici gelidi d’estate perché i condizionatori d’aria sono tarati, sulla base di calcoli vecchi di mezzo secolo, su una temperatura ideale per il metabolismo di uomini che pesano molto, hanno una massa muscolare consistente, vanno al lavoro con giacca cravatta e scarpe chiuse anche quando il clima è torrido. Mentre le esigenze delle donne, che hanno equilibri metabolici del tutto diversi, vengono ignorate.
Il gelo in agguato ovunque, anche nei giorni di caldo africano, è una delle insidie che più angosciano l’europeo che vive negli Usa o che ci arriva come turista. Vai in treno da New York a Washington nel caldo di luglio e il maglione è d’obbligo. Come al ristorante, al cinema, in aereo, in metrò o negli uffici. Per chi arriva dalle sponde del Mediterraneo rimane misterioso il motivo per il quale gli americani d’estate pretendano di passare, varcando una porta, da una temperatura da rinoceronti a una da pinguini.
Osservando, però, i miei compagni di viaggio in volo, mi era capitato di notare la differenza tra ragazzoni palestrati in canottiera per nulla infastiditi dal gelo della cabina, e donne che chiedevano coperte alla hostess (esattamente come me). La spiegazione ora viene da uno studio, peraltro condotto da scienziati olandesi (maschi), pubblicato dalla rivista Nature Climate Change. Gli esperti parlano di una «Great Arctic Office Conspiracy», una cospirazione ai danni delle donne perché i termostati sono tarati sulle esigenze dei maschi di peso elevato, vestiti con abiti relativamente pesanti. Una figura prevalente negli uffici cinquanta anni fa ma non oggi: almeno metà dei dipendenti sono donne che d’estate vanno al lavoro in sandali e abiti molto leggeri. E che hanno un metabolismo che disperde il calore più rapidamente.
Per molto tempo si era pensato che fossero i datori di lavoro a giocare al ribasso coi termostati, per aumentare la produttività dei dipendenti, ma un altro studio, condotto anni fa dalla Cornell University, aveva dimostrato che è vero il contrario: se in un ufficio fa troppo freddo, la produttività diminuisce. Secondo la ricerca ripescata dal Washington Post, aumentando la temperatura da 20 a 25 gradi centigradi, la produzione di un ufficio cresce del 150% mentre gli errori di battitura calano del 44%.
E allora resta solo la spiegazione basata sul «gender»: il metabolismo delle donne, spiega il New York Times, ha una velocità di assorbimento del calore che è più bassa di una cifra variabile tra il 20 e il 32% rispetto ai protocolli degli anni Sessanta usati negli uffici per tarare i termostati. Soluzioni? Personalizzare la climatizzazione creando aree diverse con varie temperature può essere complicato e costoso: meglio alzare un po’ la temperatura anche se qualche maschio si lamenterà.
Non è detto che succederà: le donne si erano già accorte da tempo della diversità della loro condizione e quattro anni fa Simma Kupchan, una scienziata consulente dell’Epa, l’agenzia Usa per l’Ambiente, aveva lanciato una campagna per la «air conditioning equality»: «Combattiamo per il nostro diritto di mostrare le braccia nude abbronzate, per non essere obbligate ad andare a scongelarci nell’auto parcheggiata al sole, per non dover lavorare con una coperta sulle spalle».
Ma allora non era successo nulla. In America, almeno, mentre, ad esempio, in Giappone nei giorni più torridi il governo fa regolare i termostati degli uffici sui 27-28 gradi. Per risparmiare sulla bolletta, non per rispetto nei confronti delle donne. Vedremo se succederà qualcosa ora che sono scesi in campo gli scienziati. Che adesso, però, dovrebbero dirci se quelle differenze metaboliche, oltre che fra uomini e donne, ci sono anche tra gli europei e i loro discendenti emigrati nel Nuovo Mondo. In attesa di scoprirlo, continuerò a chiedermi perché, entrando in un ristorante di New York a gennaio, semiassiderato dai 10 sotto zero e dal vento della strada, vengo sistematicamente accolto da un cameriere che mi porta un bicchiere con dentro più ghiaccio che acqua.