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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

Sul tetto degli stipendi, la Camera se la canta e se la suona. In italiano si chiama autodichìa, è il principio in base al quale le decisioni di un organo costituzionale come il Parlamento non sono sindacabili dall’esterno, e poco importa se il risparmio da qui al 2018, previsto in 60 milioni, si ridurrà invece a soli 13 milioni

La parola è pressoché irreperibile nei principali dizionari della lingua italiana: «autodichìa». Il vocabolario Treccani, dove invece se ne trova traccia, la definisce come «esercizio di attività formalmente giurisdizionale da parte della pubblica amministrazione». Chi ci capisce è bravo. L’autodichìa è il principio in base al quale le decisioni di un organo costituzionale come il Parlamento non sono sindacabili dall’esterno. Se la suonano e se la cantano, si sarebbe tradotto in volgare. Ne consegue che se bisogna ricorrere contro una decisione della Camera dei deputati, a decidere è la Camera dei deputati. Proprio com’è successo ora. L’anno scorso si era stabilito di applicare il tetto dei 240 mila euro per gli stipendi pubblici anche ai dipendenti di Montecitorio, dove le retribuzioni arrivano a superare anche il doppio di quella cifra. Avevano dunque fissato il tetto massimo per i superdirigenti, introducendo limiti di fascia più bassi per le categorie inferiori in modo da graduare i compensi. Davanti alla proposta di applicare tetti diversi commessi e documentaristi non hanno abbozzato e hanno fatto ricorso all’organo giurisdizionale interno. Si tratta di una commissione composta da deputati. E ovviamente ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato dei dipendenti riottosi: l’ex deputato Maurizio Paniz. Tutto in famiglia, insomma. Poco importa se il risparmio previsto da qui al 2018, previsto in 60 milioni, si ridurrà invece a soli 13 milioni. E poco importa se un documentarista potrà arrivare a guadagnare 232 mila euro. Ancora meno se i sette barbieri della Camera continueranno a costare 500 mila euro, con lo stipendio del più anziano dei sette attestato a 143 mila euro. L’importante è che si faccia in fretta, è in corso il dibattito se la decisione sia immediatamente applicabile anche prima del secondo grado di giudizio e perciò gli stipendi vadano immediatamente adeguati. E soprattutto che nessuno si azzardi a mettere in discussione l’autodichìa. Per la piega che ha preso, una cosa non più accettabile.