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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

Interviste e ritratti dei nuovi membri del Cda della Rai. Dalla storica dell’arte Borioni al sindacalista Siddi, passando per Guelfi che ascolta Chet Baker suonare in prigione, il portavoce centrista Paolo Messa, il garantista Diaconale, il deputato Mazzuca, e infine per il direttore di (quasi) tutte le reti Carlo Freccero

Rita Borioni

il Fatto Quotidiano

DI NASCITA DALEMIANA. Nell’imbarazzante Lottizzazione democrat della Rai, Rita Borioni avanza dalla variegata gens dalemiana, da cui proviene anche l’archeologo Matteo Orfini, oggi presidente del Pd e diversamente renziano. Cinquantenne, storica dell’ar te, è stata molto attiva nella fondazione ItalianiEuropei dello stesso D’Alema e di Giuliano Amato.
LA PICCOLA CASTA. Esperta di Beni culturali è attualmente assistente di Andrea Marcucci, presidente della commissione Istruzione e Cultura del Senato. Ha fatto la tipica gavetta di chi da una vita campa con e dentro le istituzioni, in quella zona grigia di consulenti e portaborse: 11 anni come collaboratore parlamentare dei Ds alla Camera, altri 5 al Senato.
LA TV DI CORRENTE. Quando i dalemiani erano ancora forti nel 2010 vararono finanche una loro emittente, RedTv. Ed è qui che Borioni vanta la sua unica esperienza televisiva, come autrice e conduttrice. Il suo programma, ovviamente sulle politiche culturali, s’intitolava “Stendhal”.
Fabrizio D’Esposito

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Antonio Campo Dall’Orto
Corriere della Sera

Non chiedete ad Antonio Campo Dall’Orto di cucinare riso. Non secondo le metodologie giapponesi, perlomeno: richiedono troppo tempo. Lo disse lui in un’intervista: non aveva abbastanza pazienza per la cucina giapponese. Lui che a cinquanta anni ha messo in archivio carriere sufficienti a riempire un paio di vite almeno, e adesso si appresta – se oggi le previsioni saranno confermate – a sedere sulla poltrona più importante della Rai, quella di direttore generale. 
Non fatevi ingannare dalla sua aria paciosa: il veneto Antonio Campo Dall’Orto ha poca pazienza e ha quindi girato aziende con grande frenesia. A volte con risultati non positivi, come è successo a La7. Altre volte con risultati lusinghieri. A cominciare da quelli della sua creatura: Mtv. Era una flusso di video e di musica quando l’allora trentatreenne Campo Dall’Orto entrò come direttore generale: da quel momento diventa una tv, a tutti gli effetti, con tanto di palinsesti, una rete che ha plasmato la cosiddetta «Mtv generation». Non passano tre anni che il manager diventa amministratore delegato prima del Sud Europa e dell’Italia poi, e anche presidente della pubblicità. 
«È uno che la tv la conosce e parecchio, uno dei pochi davvero», sentenzia Maurizio Costanzo che sulla televisione può certo dire quasi tutto quello che vuole. Poi aggiunge: «Lo stimo, l’ho sempre detto, non è certo la prima volta che parlo bene di lui». 
Campo Dall’Orto conosce Costanzo quando varca i cancelli di Segrate, alla soglie dei trent’anni: a Mediaset il giovane arrivato da Conegliano ci entra dalla porta principale, vice direttore di quel canale, Canale 5, guidato dal quasi coetaneo Giorgio Gori. Un’amicizia, fra i due, che non finirà più. 
E forse non è un caso che quando il premier Renzi era ancora molto legato a Gori il nome di Campo Dall’Orto fu il primo a venire fuori per la dirigenza Rai, lo scorso anno. Del resto Campo Dall’Orto è stato tra i protagonisti della Leopolda renziana. 
Adesso il suo nome è tornato alla ribalta, anche se c’è chi sulle capacità imprenditoriali di Campo Dall’Orto non esita a mostrare forti dubbi. «Qualcuno a Palazzo Chigi ha mai preso informazioni su La7 gestita da Campo Dall’Orto?», si interrogava ieri sul suo blog il senatore del pd Massimo Mucchetti. E affondava: «A Renzi sarebbe bastato chiedere al suo amico Franco Bernabè per sapere che il suo pupillo Campo Dall’Orto lasciò La7 che perdeva oltre 120 milioni con un audience del 2-3%». 
Ci ha passato quattro anni a La7 Antonio Campo Dall’Orto, dal 2004 al 2008, come direttore generale prima e amministratore delegato poi. I giornalisti della televisione lo ricordano come un direttore pieno di gentilezza e disponibile all’ascolto, ed è in questi quattro anni che si racchiudono gli eventi più significativi della sua vita privata. Il 2004, il compleanno dei quarant’anni porta infatti a Campo Dall’Orto in regalo l’incontro con la bellissima Mandala Tayde, un’attrice mezza indiana e mezza tedesca, di undici anni più giovane di lui. I due si conoscono all’anteprima di un film italiano e tre anni dopo mettono al mondo Leon, il bimbo che il papà è andato ad accudire persino sul set, lì dove mamma Mandala era impegnata a girare un film. Piccoli frammenti di vita privata di un uomo ha fatto della privacy un modello di esistenza prima che una vera e propria barriera verso i media. 
L’ultima tappa della sua carriera era stata alquanto anomala visto il suo percorso fatto tutto di televisione: membro del consiglio di amministrazione di Poste Italiane. Negli ultimi anni era rimasto molto all’estero, a New York, dal settembre 2008 nominato vicepresidente esecutivo per Viacom international Media Works. Il destino lo ha riportato sulla sua strada, sulla poltrona più ambita della Rai. 
Aveva cominciato con un master a Publitalia e un ingresso diretto in Mediaset Campo Dall’Orto, che ha raccontato in una vecchia intervista di avere anche creduto al progetto politico del Berlusconi del ‘94: «Pensavo che potesse portare una discontinuità che non ha portato». Molti anni dopo ha rifiutato un ritorno nella tv del Cavaliere. 
Alessandra Arachi
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Arturo Diaconale
il Fatto Quotidiano

L’OSSESSIONE DEI PM. Già di simpatie neofasciste, poi liberale e berlusconiano (per lui non è un ossimoro), da decenni Arturo Diaconale vede giustizialisti dappertutto. La sua ultima fatica è stata alle regionali in Campania, quando su incarico di B. ha varato una lista di “vittime della giustizia”. Ha 70 anni ed è di nascita abruzzese, anche per questo forse oggi è presidente del Parco nazionale del Gran Sasso.
DIRETTORE CLANDESTINO. Giornalista che ha lavorato con Indro Montanelli al Giornale, dopo aver tentato invano un salto in Parlamento con la casacca del centrodestra, Diaconale si è assestato alla direzione di uno quei quotidiani che non si vendono ma incassano fior di finanziamenti pubblici: L’Opinione delle libertà, erede dell’house organ del vecchio Partito liberale italiano. L’ultimo editoriale di Diaconale è proprio di ieri, intitolato: “Servono più idee per il sud”.
SUL PICCOLO SCHERMO. L’unica esperienza tv di Diaconale è da redattore capo di Studio Aperto, tg berlusconiano di Italia Uno e risale a 23 anni fa.
 Fabrizio D’Esposito

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Guelgo Guelfi
il Fatto Quotidiano

 COMUNISTA PISANO. Figlio di partigiani, poi militante di Lotta Continua sotto il rigido verbo di Adriano Sofri, Guelfo Guelfi, 70 anni, vanta un record: nel Sessantotto, ai primi scontri tra polizia e studenti, fu il primo a essere fermato dalla polizia, davanti alla stazione di Pisa. Si fece pochi giorni di galera.
IN CELLA CON CHET. In Lotta Continua faceva già il creativo, prima di diventarlo per professione. Fu tra i ragazzi che quando arrestarono Chet Baker a Lucca, nel 1970, per possesso di droga, la sera aspettava che il grande trombettista suonasse dalla cella
per i cinque minuti che il giudice gli concesse. Spesso suonavano anche insieme al grandissimo jazzista. Uno degli episodi pacifici che hanno fatto la storia del ’68.
LA TERZA VITA. Ha sempre lavorato nella pubblicità e nel marketing. Prima in società con Davide Guadagni, ex compagno di Lotta Continua, e poi da solo, alla corte (tra Provincia e Comune di Firenze) del giovane Renzi, che ora lo ha voluto nel Cda della Rai
Emiliano Liuzzi

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la Repubblica

 È il primo a dichiararsi stupito: «Alle 11.30 ero un semplice cittadino, ora sono un amministratore». Classe 1945, radici nella sinistra di Lotta Continua e testa rivolta al renzismo, Guelfo Guelfi è stato eletto nel Cda Rai in quota Pd. Una vita in pubblicità e nella comunicazione, è stato spin-doctor di tanti presidenti della Toscana e dello stesso Matteo Renzi, al tempo dell’elezione a sindaco di Firenze.
Guelfi, quando l’ha saputo?

«Mi ha chiamato stamani (ieri, ndr) il ministro Boschi mentre andavo dal dentista».
Che le ha detto?

«Mi ha chiesto la disponibilità e ho risposto che ero contento che avessero pensato a me. Come mi sento? Sono felice, è un’emozione essere chiamato per una cosa grossa e impegnativa come questa, mi fa tremare i polsi».
Lei è un pubblicitario, non ha esperienze tv.

«No, ma ho l’esperienza di quello che ho sempre fatto, un pubblicitario prestato alla comunicazione pubblica. Mi occupo di comunicazione da 40 anni, ancora oggi sono direttore di ‘Comunica’, creata dal Comune di Imola».
Ha qualche idea di quello che farà?

«Sono stato proposto e sono stato votato, si tratta di mettersi al lavoro. Nella testa ho Giorgio Van Straten ed Elvira Sellerio, mi sento onorato di poter riprendere i fili del loro lavoro. La Rai è uno degli elementi di soddisfazione di questo Paese non uno dei problemi».
Lei è un fan di Renzi, qualche anno fa lo definì un «antidepressivo formidabile».

«Sono uno che pensa che questo Paese debba cambiare e che Renzi lo stia facendo».
Che pensa della riforma della Rai?

«È presto per fare queste dichiarazioni. Per adesso so solo che sono stato votato: ho preso 6 voti, gli stessi di Freccero».
Massimo Vanni

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Carlo Freccero

la Repubblica

«All’inizio non avevo capito la mossa di Grillo. Ora sì. È stato astuto. Quanto godo...». Per Carlo Freccero le montagne russe in Rai sono appena iniziate.
Quale mossa di Grillo, Freccero?

«Nel “carcere” della legge Gasparri, li ha fregati con il mio nome. Anche Sel mi ha lusingato. Ed ecco che si è avverato quello che non era accaduto con Rodotà: la candidatura dell’area di opposizione. Si rende conto?».
Di che cosa?
«È una mossa che crea disordine nella palude del renzismo e del patto del Nazareno».
Anche lei, Freccero, è stato “lottizzato” dai grillini.

«Un paradosso, certo. Ma se ne può uscire. Dice Grillo che “nessun filo legherà mai Freccero al M5S”. Bellissimo. C’è un movimento che sceglie la mia visione della Rai. E sceglie uno che non è grillino. Ha letto il loro blog?».
No, cosa dicono Freccero?

«Che con me si buttano a sinistra. Significativo,no? Con i cinquestelle ci litigai per Farage. Ma di brutto, eh».
Ha mai votato per il Movimento?

«Mai stato un elettore di Grillo. Ho votato Syriza. Però voto per i grillini a livello locale».
Con Grillo avete già festeggiato?
«Con Grillo, come con Ricci, ci tiriamo il belino. Ci prendiamo in giro. Sa, i liguri depressi fanno così. Lui mi fa: “Destra, sinistra... non capisci nulla, sei vecchio”. E io: “Non sai la differenza tra un computer e un...».
E il Pd? Potevano proporla loro. Deluso?

«Preferiscono come dg Campo Dall’Orto. Potevano confrontare i nostri due curriculum, e invece... Comunque, sì, mi meraviglio che la sinistra Pd non abbia fatto il mio nome. D’altra parte sul satellite mi mandò Rognoni...».
Il berlusconismo la allontanò nel 2002. Una rivincita?
«È chiaro. Ricordo le angherie fatte in Rai dagli scherani di Berlusconi, ma sinceramente di queste cose me ne frego».
Si sbilanci: la Rai è troppo “renziana”?

«Vediamo le nomine. La Rai è sempre dove va il padrone. Però Renzi vive un momento di crisi di comunicazione».
Prima non è sembrato tenero con Campo dell’Orto. Perché?

«È stato un consigliere di Renzi. Vorrei sapere il suo curriculum».
Freccero torna in Rai e riporta Santoro. Plausibile?

«Non posso riportare qualcuno, conosco i limiti da consigliere. Però posso dire: diamoci delle regole. Basta editti bulgari, né editti quando Renzi va in giro».
Altro scenario. I cinquestelle contro Vespa. Lei cosa fa?

«Posto per Vespa ci sarà sempre. Magari possiamo dire che non deve esserci a forza Vespa, tutti i giorni, non solo lui sul primo canale. Bene lui, ma bene anche altra gente».
Ma lei che Rai ha in mente?
«Con un paragone temerario: come la scuola pubblica. Che educhi allo spirito critico, come ai tempi del liceo. Non un ghetto di consumo televisivo, ma un luogo di libertà».
Tommaso Ciriaco

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Giancarlo Mazzuca
Corriere della Sera

Giancarlo Mazzuca, nato a Forlì, 67 anni, già inviato speciale del Corriere della Sera, vicedirettore a La Voce con Indro Montanelli, poi ex direttore del Resto del Carlino, attualmente alla guida del Giorno. Nella passata legislatura è stato deputato di Forza Italia e ieri è stato eletto in quota azzurra (con 4 voti) nel cda della Rai. Ci tiene però a dire: «Al di là delle varie alchimie e lottizzazioni e sponsorizzazioni che ci son state, questo Consiglio è formato da professionisti ed è la cosa che più di tutte mi fa ben sperare».
Di Rai, Mazzuca si è già occupato a fondo in passato: «Nella scorsa legislatura – ricorda – ero stato membro della commissione di Vigilanza, ma in quell’ambito non si riuscì a far molto. Perché è il consiglio piuttosto che decide e fa le cose concrete. Quindi mi piace questa nomina e sono contento di accettare la sfida. Ora parlerò con i colleghi, mi confronterò sul lavoro che ci aspetta».
Che Rai ha in mente? «Di certo vorrei che tornasse competitiva, 24 ore su 24 al centro dell’attenzione, più e meglio di Sky...». «Da ragazzino – continua Mazzuca – la televisione era considerata un bene di lusso, ce l’avevano davvero in pochi, erano gli anni Cinquanta e ogni giovedì sera con i miei genitori andavamo in casa di amici a seguire Lascia o Raddoppia?. Anche al cinema ricordo che veniva interrotta la programmazione dei film e nell’intervallo in sala si seguiva in diretta la trasmissione di Mike Bongiorno. Ma soprattutto oggi mi tornano in mente lo stupore e l’incredulità con cui, da bambino, piccolo telespettatore, seguivo il quiz show della Rai. Ecco, oggi, vorrei che tornassero negli occhi di tutti noi lo stesso stupore e la stessa incredulità di quei giorni. Ma abbiamo davanti tanto lavoro da fare».
Fabrizio Caccia

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Paolo Messa
il Fatto Quotidiano

DEMOCRISTIANO 2.0. All’alba del terzo millennio, quando il berlusconismo rimase prigioniero delle verifiche centriste di Marco Follini, Paolo Messa “portava la voce” ce n t r i s t a in tutte le redazioni dei quotidiani italiani. Di origini baresi, vive a Roma e non ha ancora 40 anni. n SUGGERITORE ED EDITORE. Quando il follinismo si eclissò, Messa rimase comunque agganciato all’Udc. Le sue relazioni combinate con l’attività da spin doctor lo hanno trasformato in un “suggeritore” di quel mondo al confine tra la politica e alcuni ambienti come la difesa e l’energia (ma non la tv). È editore di Formiche, rivista e sito e direttore del Centro studi americani, presieduto dall’ex “poliziotto” e 007 Gianni De Gennaro, oggi a capo di Finmeccanica.
CON CLINI ALL’AMBIENTE. L’impegno istituzionale più recente di Messa è stato al ministero dell’Ambiente, nell’era “tecnica” di Corrado Clini, oggi plurindagato.
Fabrizio D’Esposito

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Franco Siddi
il Fatto Quotidiano

CATTOLICO SARDO. Classe ’53, ha iniziato la carriera all’Unione Sarda, poi al Gazzettino Sardo e all’Altro giornale di Cagliari. Dopo aver lavorato all’Ufficio stampa del Comune di Cagliari passò alla Nuova Sardegna, gruppo Espresso, di cui è ancora dipendente. Nessuna esperienza televisiva.
ALTRO CHE ROTTAMAZIONE. Ha quindi scalato il sindacato unitario dei giornalisti, la Fnsi, e si è distinto, secondo molti colleghi, per aver firmato il peggiore contratto della storia per la categoria, condannando con il cosiddetto “equo compenso” la generazione degli under 40 allo schiavismo per mano degli editori: migliaia di giovani free lance italiani coinvolti.
SCUDO CROCIATO. Storicamente legato alla Democrazia cristiana prima e alla Margherita dopo, deve il posto nel cda Rai soprattutto a Pino Pisicchio, attualmente capogruppo del Misto alla Camera, ex Centro democratico di Tabacci, ancora con diritto di parola nelle dinamiche del Pd renziano.
Giampiero Calapà