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 2015  agosto 04 Martedì calendario

Arrestati undici complici, si stringe il cerchio intorno a Matteo Messina Denaro. Un durissimo colpo al capo dei capi latitante da 22 anni. Pizzini smistati in una masseria, tagliata la rete di comunicazione. Il superboss mafioso ora è solo, senza più aiuti economici e logistici. Il pm Teresa Principato accusa: «È un parassita che gode di protezioni ad alto livello»

Polizia e carabinieri del Ros, coordinati dalla Dda di Palermo, hanno bruciato l’estate di Matteo Messina Denaro, latitante dal giugno di 22 anni fa. Hanno arrestato il suo ufficiale postale, Vito Gondola, 77 anni, pastore, ed altri 10 boss uniti in una rete di supporto efficiente, che riceveva a smistava nei due sensi i pizzini per la gestione degli affari, riforniva di contanti lo stragista ergastolano, gli assicurava la logistica necessaria ad operare dalla clandestinità. Dal complesso dell’atto d’accusa è possibile escludere, ha detto il capo della Dda, Francesco Lo Voi, «che sia in corso una sorta di camorrizzazione di Cosa Nostra. La mafia resta una organizzazione unitaria, anche se ogni mandamento e ogni provincia possano curare i propri interessi».
LE INDAGINI
L’aggiunto Teresa Principato ha sottolineato, demitizzando la primula rossa, che dalle indagini la figura di Messina Denaro emerge come quella di un «parassita» che non esita a spremere i suoi stessi parenti. La Principato non ha escluso che in questo momento il latitante sia all’estero, perché suoi viaggi in Italia ed in Europa sono noti da tempo agli investigatori. «Nonostante il territorio trapanese – ha sottolineato il pm specializzato nella caccia al boss trapanese – sia più che sorvegliato e da anni si susseguono operazioni, ancora non siamo riusciti a prendere il latitante. Questo può significare solo che gode di protezioni ad alto livello».
LE REAZIONI
Dopo questi arresti il boss è privo di supporti fidati, è stato indebolito, deve tornare ad esporsi in prima persona, catturarlo è più facile. «Avanti tutta su questa strada», ha auspicato da Tokyo il premier Matteo Renzi. «Lo Stato vince, la mafia perde», ha commentato il titolare del Viminale, Angelino Alfano. Investigatori delle squadre mobili di Palermo e Trapani, dello Sco e del Ros stanno setacciando la masseria di Gondola, in contrada Lippone, tra Salemi e Mazara del Vallo, che fungeva da stazione di raccordo tra i favoreggiatori del boss, arrestati la notte scorsa. La stessa area era stata infiltrata da mesi con microfoni e telecamere, i boss parlavano di formaggio e ricotta, mangimi e concimi, nascondevano o ritiravano i pizzini, e se li leggevano subito li distruggevano. Di associazione mafiosa, favoreggiamento ed altri reati dovranno rispondere con Gondola Giovanni Loretta, 42 anni, Leonardo Agueci, di 27 anni, Pietro e Vincenzo Giambalvo, di 77 e 38 anni, padre e figlio, Giovanni Scimonelli, di 48, Giovanni Mattarella, di 49, Michele Terranova di 45, Sergio Giglio, di 46, Michele Gucciardi, di 61, e Ugo Di Leonardo, di 73. Personaggi di spessore, ciascuno di loro, sostiene l’ accusa, è al vertice di una cosca, controllavano i territorio di vari comuni trapanesi. Due sono anche colletti bianchi, Scimonelli gestiva un supermercato, Partecipava a borse del vino in giro per l’ Italia, Di Leonardo, architetto, era funzionario comunale a Sant’Ninfa.