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 2015  agosto 04 Martedì calendario

Breve e tragica analisi della situazione in Grecia. Tremano i conti in banca delle (poche) aziende sane. Ieri i quattro principali istituti di credito sono crollati del 29,92% e da novembre hanno perso circa 50 miliardi di euro di depositi. Ora si tratta di decidere quando, e con quanto denaro e in cambio di quali sacrifici, i governi di Eurolandia accetteranno di sostenere il sistema creditizio greco

L’indice delle banche ieri alla Borsa di Atene ha chiuso appena dello 0,08% sopra ai peggiori ribassi consentiti, e in questo sottile diaframma c’è tutta la fragilità di un ingranaggio decisivo per il futuro della Grecia. Dopo cinque settimane di chiusura, alla fine della prima giornata di scambi in Borsa i quattro principali istituti erano giù in media del 29,92%. È stato un crollo quasi doppio rispetto a quello del listino generale, in buona parte perché gli investitori si rendono conto che proprio le banche oggi rappresentano l’area di incertezza più grave in un Paese che da anni naviga al buio.
Sulle banche elleniche il confronto in Europa è già iniziato, e nelle prossime due settimane vivrà i suoi momenti decisivi. Non sarà facile: ancora una volta si sta riaprendo una linea di frattura fra l’intransigenza dei negoziatori tedeschi e le idee di chi, in Italia o in Francia, vuole evitare di destabilizzare la Grecia ancora di più. Facile prevedere tra non molto uno scontro a porte chiuse fra Paesi creditori, perché qualunque decisione sulle banche di Atene è destinata a trasformarsi in un precedente carico di implicazioni per tutti. In gioco c’è la possibilità che non solo gli azionisti o gli obbligazionisti, ma anche certi depositanti delle banche greche debbano subire perdite sui propri risparmi in cambio di una ricapitalizzazione degli istituti da parte del resto dell’area euro. Ormai si tratta di decidere quando, con quanto denaro e in cambio di quali sacrifici, i governi di Eurolandia accetteranno di sostenere il sistema del credito nel Paese più debole dell’area. Nessuno ha la risposta, perché nessuno oggi conosce le reali condizioni di National Bank of Greece, Piraeus Bank, Alpha Bank e Eurobank. Nell’autunno scorso, tutte e quattro avevano passato gli esami della Banca centrale europea relativi alla solidità del patrimonio e alla capacità di resistenza agli choc. Da allora però sono state tutte sottoposte a una serie di scosse telluriche di intensità crescente. Da novembre hanno perso circa 50 miliardi di depositi – quasi un terzo del totale – ritirati dalle famiglie nel timore di una conversione in blocco degli euro in svalutatissime dracme.
Quindi le imprese, colpite dal blocco dei pagamenti da parte dello Stato, hanno iniziato a non rimborsare più i prestiti ricevuti dagli sportelli. Stime informali delle autorità di Atene a fine giugno indicavano che gli arretrati sui rimborsi erano arrivati in media a circa il 40% dell’intero portafoglio dei crediti bancari. E da allora la situazione non ha fatto che peggiorare. Certamente alcune delle grandi banche sono al limite dell’insolvenza, il loro capitale eroso dalla recessione sempre più grave. Quasi nessuno è in grado di dare o ricevere credito, o di programmare ed eseguire un investimento.
All’Europa ormai non resta che stimare i buchi e le esigenze di nuovo capitale dei quattro principali istituti di Atene. Se ne occuperà la Banca centrale europea in autunno, quindi si fisserà la somma che il fondo salvataggi europeo (Esm) dovrà mettere a disposizione. I documenti ufficiali indicano già che l’iniezione di finanza fresca può arrivare a 25 miliardi di euro, una somma colossale per la Grecia: due volte e mezzo il valore di Borsa delle sue banche ieri sera, quasi il 15% del fatturato dell’intera economia del Paese. Ora l’idea prevalente è di iniettare queste risorse nelle banche direttamente come capitale di proprietà del fondo salvataggi europeo, non sotto forma di prestito al governo greco. È probabile che ciò avvenga all’inizio del 2016, dunque si dovrebbe applicare la nuova legislazione europea che prevede perdite a carico di tutti i creditori delle banche salvate da aiuti pubblici. È qui che moltissime piccole e medie imprese greche rischiano di chiudere, perché perderebbero i capitali con cui pagano gli stipendi o la manutenzione degli impianti. Se infatti un primo colpo di forbice a carico azionisti e obbligazionisti delle banche non bastasse come sacrificio in vista dell’aiuto di Stato, anche i depositanti con conti al di sopra dei 100 mila euro dovrebbero pagare. Nella Grecia di oggi, significa falcidiare i conti delle uniche aziende che in qualche modo continuano a esistere.
È qui che lo scontro in Eurolandia è venuto alla luce. I negoziatori tedeschi insistono per applicare le regole in modo automatico, a costo di mettere in ginocchio ciò che resta della struttura produttiva ellenica. Francesi e italiani puntano invece ad applicare una clausola che salva i depositanti, se il colpo di falce sui conti bancari minaccia conseguenze gravi per l’intera economia.
Così la Grecia, il Paese più estremo, ancora una volta diventa un precedente per il resto d’Europa. Non è andata così in altri casi: la Corte costituzionale di Vienna per esempio ha appena decretato che in Austria la legge europea sulle perdite per i creditori delle banche è incostituzionale. Così ha salvato gli investitori in un piccolo istituto di nome Alpe Adria, con interessi in Baviera. Chissà perché, in quel caso nessuno in Germania ha protestato.