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 2015  agosto 02 Domenica calendario

Cristo si è fermato a Eboli

Il 1945 è l’anno nel quale, dopo i giorni dell’insurrezione d’aprile, si inizia finalmente a guardare avanti. C’è da battersi per la Repubblica, mettere nuove e solide fondamenta alla democrazia, ricostruire le rovine civili e quelle materiali ancora fumanti, ritornare a produrre, affrontare finalmente le ingiustizie antiche, riconoscere di nuovo la nostra posizione nel mondo. Proprio agli albori di quella stagione, Einaudi pubblica il capolavoro di Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, uno dei più alti esempi di narrativa civile.
Oggi, di fronte alle nuove ingiustizie, alla lunga crisi e allo sfilacciarsi del tessuto solidale, alle minacce di guerre che rivengono avanti e alla politica malridotta, possiamo ancora leggere questo libro con riconoscenza e sorpresa. Perché pone in modo attualissimo l’analisi delle differenze sociali e del potere, delle posizioni delle diverse rendite e del differente lavoro. Perché aspira a un mondo comunitario che sappia riconoscere i legami, le culture, le sapienze. Perché rivela i richiami tra la società e le voci interne di ognuno. E perché ci ricorda quella generazione di italiani che aveva visto venire avanti la tragedia, che ne era stata investita e che poi seppe ripensare il Paese sulla base degli ideali che erano stati travolti innovandoli di fronte ai compiti imperiosi che si trovava davanti.
Da Torino alla Lucania
Nel 1945 quella generazione onorò i propri morti, contò gli amici rimasti vivi e si incontrò con i più giovani tornati dai fronti, dalle montagne partigiane e dalle prigionie. Carlo Levi fu un esempio originale di quella generazione. Si era formato nella Torino operaia e socialista dopo la Prima guerra mondiale. Suo zio era Claudio Treves, figura guida del socialismo riformista italiano, e i suoi compagni erano i giovani di Rivoluzione liberale alle cui idee, ispirate da Gobetti, resterà legato. Del crescere tra coetanei in quella Torino Carlo Levi scriverà nel libro L’orologio: «... l’antica e unica città dell’adolescenza dove le idee e l’amicizia sono dei beni esaltanti e i corsi alberati sono così lunghi e vasti... le vie solitarie si aprono ai giovani che hanno da dirsi le cose importanti...». Dal 1925, mentre si afferma come pittore, Levi è impegnato contro il fascismo su posizioni liberal-socialiste, a fianco dei fratelli Rosselli, Pietro Nenni, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Leone Ginzburg.
Nel 1935 viene mandato al confino in Lucania. È questa un’esperienza che si proietterà nel suo futuro, tanto che – proprio a partire dal 1945 e poi ai mesi del referendum per la Repubblica – egli ripenserà il suo impegno civile al fianco del nuovo meridionalismo: «La Lucania rimane l’elemento, uno degli elementi fondamentali del mio modo di vedere la realtà».
Più lontana dell’India
Levi finisce il periodo di confino, va in Francia e quindi fa ritorno in Italia negli anni della guerra che lo vedono nuovamente impegnato come dirigente del Partito d’Azione nella Firenze occupata dai nazisti. Proprio nel chiuso clandestino di una casa di Firenze, tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1945 – con l’urgenza del pericolo feroce e della battaglia – Carlo Levi avverte un’altra urgenza: deve riandare con la mente alla Lucania e raccontare di un mondo altro dal suo, che preserva la potenza e dignità nella vita e nella morte con il muoversi complesso di esistenze che, pur parte della stessa Italia, sono «lontane più che l’India e la Cina».
L’antico mondo contadino
Il libro ha un impatto enorme. Conosce tante edizioni e viene tradotto in molte lingue. Mostra per l’ultima volta il mondo contadino antico agli italiani. È una delle leve che, nel momento del risorgere democratico del Paese, ripropone la «Questione meridionale» dopo l’interruzione fascista che aveva soffocato le voci dei meridionalisti, gestito a favore del latifondo la grande crisi riducendo i salari e interrotto emigrazione e flusso delle rimesse dei nostri migranti, costringendo così il Mezzogiorno all’estrema miseria.
Dopo Cristo si è fermato a Eboli il Sud ha avuto un nuovo slancio e ha ridotto costantemente, dal 1945 al 1985, il divario con il Nord. Ma, poi, è via via ripresa a prevalere la rendita rispetto agli investimenti produttivi, con la politica che ha, nei fatti, avversato la cultura dell’impresa, del lavoro, della legalità, del merito e della concorrenza e, invece, progressivamente dato luogo – insieme a vaste parti degli apparati pubblici e degli interessi corporativi e speculativi legati trasversalmente al sistema delle clientele intrecciato con corruzione e mafie – a un «blocco» di potere fondato sulla spesa pubblica male indirizzata, sulla rendita parassitaria che ha conosciuto l’alleanza delle nuove rendite del Nord con un drenaggio di risorse da Sud a Nord.
Oggi – nel rileggere Cristo si è fermato a Eboli e nell’esaminare i paurosi dati del rinato divario tra le due Italie così radicalmente diverse per struttura della popolazione, reddito, credito, servizi, produzioni, opportunità – si sente l’urgenza di un tempo per raccontare le cose del Mezzogiorno di adesso nello spirito con il quale Carlo Levi lo fece allora con acume analitico, parole scelte e ferme e civile passione.