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 2015  agosto 02 Domenica calendario

La Corte dei Conti ha scoperto, per una via inaspettata, l’importanza del federalismo, mostrando che la tassazione locale - cioè i tributi che ci fanno pagare i comuni - è cresciuta in modo abnorme, fino al punto di squilibrare il rapporto tra i soldi che diamo allo Stato e quelli che diamo alla città in cui viviamo

La Corte dei Conti ha scoperto, per una via inaspettata, l’importanza del federalismo, mostrando che la tassazione locale - cioè i tributi che ci fanno pagare i comuni - è cresciuta in modo abnorme, fino al punto di squilibrare il rapporto tra i soldi che diamo allo Stato e quelli che diamo alla città in cui viviamo.

Primo, non ho capito che c’entra il federalismo. Secondo non ho nemmeno chiaro che cos’è la Corte dei conti. Ogni tanto salta fuori un organismo nuovo, poi cominciano tutti con la C, anzi con la parola Corte, Corte costituzionale, Corte di Cassazione, Corte dei conti...
Beh, la Corte costituzionale è quella che deve decidere se una certa legge dello Stato è coerente con i princìpi della nostra Costituzione. Se decide che non lo è, ha il potere di abrogarla. La Corte di Cassazione è il tribunale a cui si rivolgono in ultima istanza i condannati nei primi due gradi di giudizio: giudica i processi tecnicamente e può obbligare i tribunali a ricominciare daccapo. La Corte dei Conti non è proprio nuova: è vecchia anzi quasi quanto l’Italia, dato che esiste dal 1862. Si tratta di un organismo immenso, articolato in varie sezioni sparpagliate anche sul territorio, che ha il compito di giudicare i conti pubblici ed emettere sentenze in controversie che riguardino la contabilità dello Stato (per esempio se uno ritiene che gli abbiamo sbagliato i calcoli della pensione). È poi un consulente del governo nelle materie economico-finanziarie, ed ecco spiegato perché può parlare delle tasse locali.  

Sentiamo quello che ha detto.
Si tratta di una vera e propria relazione sulla finanza locale. Tra il 2010 e il 2014, dice la Corte, i Comuni hanno subito tagli per circa «otto miliardi», compensati da «aumenti molto accentuati» delle tasse locali «per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo». Non so se è chiaro. Il sistema fiscale italiano, schematicamente, funziona così: lo Stato raccoglie le tasse e le convoglia tutte al centro. Poi redistribuisce i soldi a tutti quanti, Regioni Province e Comuni. Vi sono tuttavia certe tasse che vengono gestite direttamente dai Comuni, oppure si dà ai Comuni la facoltà di applicare delle «addizionali», per esempio lo Stato ti chiede (cito a caso) il 30% del tuo reddito e il Comune può fissare a suo volta un +1% da incassare per sé. Tipica è l’addizionale sull’Irpef, la nostra dichiarazione dei redditi.  

Quindi, se capisco bene, i Comuni negli ultimi cinque anni hanno esagerato nell’applicazione di queste addizionali locali.
Non è che i Comuni possono aumentare a loro piacimento le addizionali. La legge dello Stato specifica sempre in quale misura percentuale questo aumento può essere applicato. Senonché da Tremonti in poi i ministri dell’Economia hanno sempre più ridotto i trasferimenti agli Enti locali, cioè la quantità di denaro distribuita ai Comuni (-27,29%, dice la Corte), magari aumentando l’aliquota dell’addizionale. I sindaci si sono rifatti sfruttando alla grande il loro potere di tassazione. In questo modo, i soldi che i sindaci chiedono ai cittadini sono passati dai 505,5 euro del 2011 ai 618,4 euro del 2014. Si tratta di medie. e i numeri sono quelli forniti ieri dalla Corte dei Conti.  

Che c’entra il federalismo?
Dice la Corte che l’autonomia finanziaria dei Comuni ha superato la soglia del 65%, cioè di cento euro che arrivano alle casse delle città, più del 35% i Comuni se li procurano da sé. Ma se questo è vero perché non rovesciare il sistema, riducendo la presenza dello Stato nella politica fiscale e decentrando la capacità impositiva? I magistrati contabili osservano infatti che «la crescita dell’autonomia finanziaria degli enti non sembra produrre benefici effetti né sui servizi né sui consumi né sull’occupazione locale, in assenza di una adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici» e che «andrebbe dunque recuperato il progetto federalista che lega la responsabilità di “presa” alla responsabilità di “spesa”, realizzando una necessaria correlazione tra prelievo ed impiego".  

Mi è chiaro per modo di dire.
Significa che se a farsi pagare le tasse fosse il Comune, il cittadino capirebbe meglio come vengono spesi i suoi soldi, giudizio oggi impossibile dato che tutti i denari finiscono nell’immenso calderone centrale da dove poi vengono redistribuiti. I Comuni invece si fanno pagare sempre di più senza però che vi siano «benefici effetti né sui servizi né sui consumi né sull’occupazione». Sembrerebbe quasi un assist a Renzi perché rottami lo Stato centralista e magari si metta d’accordo con Salvini per attuare un federalismo autentico e meno burocratico.