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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

La strana parabola di Ai Weiwei, da archi-star del potere cinese a simbolo occidentale del dissenso contro la dittatura del partito comunista, da ambasciatore dell’espansione culturale di Pechino nel mondo a oppositore (forse) graziato proprio per non frenarne l’influenza politica globale

Da archi-star del potere cinese a simbolo occidentale del dissenso contro la dittatura del partito comunista, da ambasciatore dell’espansione culturale di Pechino nel mondo a oppositore (forse) graziato proprio per non frenarne l’influenza politica globale. La parabola pubblica di Ai Weiwei si compie a sorpresa tra il 2008, il 2011 e il 2015, mentre l’artista cinese più amato all’estero è all’apice del successo e due scadenze olimpiche promettono di cambiare il volto e il peso dell’ex capitale imperiale. La svolta, da protetto della leadership dell’ex presidente Hu Jintao a suo primo oppositore, ben più prudente nei confronti dell’attuale leader Xi Jinping, si è compiuta sette anni fa. Per le Olimpiadi estive di Pechino, Ai Weiwei aveva collaborato al progetto del “Nido d’uccello”, stadio-icona dei Giochi e dell’irresistibile ascesa della nuova super-potenza economica. L’appalto era andato ad uno studio di architetti di Amburgo, ma era stata proprio la leadership rossa a imporre anche la firma di una «mano patriottica».
Sembrava il trampolino definitivo per la gloria nazionale, si è rivelato l’anticamera della caduta in disgrazia. Poche settimane prima, il terremoto nel Sichuan aveva infatti svelato la corruzione dei funzionari cinesi, causa di migliaia di studenti sepolti sotto le scuole «di tofu». Ai Weiwei si era mobilitato contro l’insabbiamento dello scandalo: è stata quella scelta coraggiosa a decidere la sua vita. Da allora il dissidente- star è entrato nel mirino del potere, inaugurando l’era della nuova web-opposizione, che tanto allarma i regimi dell’Asia. Provocatore abile nel mutare la Rete in corazza protettiva, autore di opere-denuncia esposte nei più importanti musei del pianeta e maestro nel trasformare anche il proprio corpo in una rappresentazione di libertà, Ai Weiwei era del resto un predestinato. Suo padre, il famoso poeta Ai Qing, era stato perseguitato da Mao, deportato, incarcerato e riabilitato solo dopo la morte del Grande Timoniere. Scelta la strada dell’opposizione, anche il figlio è divenuto oggetto di aggressioni, arresti e persecuzioni pubbliche. A Chengdu la polizia gli ha spaccato il cranio mentre si apprestava a testimoniare ad un processo. Un ordine di demolizione ha distrutto il suo nuovo atelier di Shanghai, che le stesse autorità gli avevano chiesto di realizzare in vista dell’Expo 2009.
La situazione è poi precipitata a partire dalla fine del 2010. L’8 ottobre Ai Weiwei fu tra i primi a ricorrere al suo blog per esprimere felicità dopo l’assegnazione a Liu Xiaobo del Nobel per la pace. Mai, però, un appello per la sua liberazione. La sua voce è tornata a farsi sentire quando le rivoluzioni nell’Africa mediterranea sembravano poter contagiare anche la Cina. Per il potere in allarme, alla vigilia del passaggio delle consegne presidenziale del 2012, è stato l’ultimo affronto. Arrestato nell’aprile 2011 e rilasciato dopo 81 giorni di carcere in un luogo segreto, accusato di evasione fiscale e di reati sessuali, Ai Weiwei è vissuto fino alla settimana scorsa sotto sorveglianza e di fatto ai domiciliari. Privato del passaporto, non poteva lasciare Pechino e su di lui pendevano una multa da 2,4 milioni di euro e la spada di Damocle di una condanna a 14 anni. L’isolamento in un’invisibile prigione senza sbarre, da cui è evaso con il famoso au-toscatto che lo ritrae in manette e in pigiama, è durato fino al contrordine del “riformista” Xi Jinping, sensibilissimo a immagine e agenda. A metà giugno l’improvviso sì alla “mostra della riabilitazione”, nell’ex fabbrica 798 di Pechino, oggi quartiere delle gallerie d’arte. Sette giorni fa la restituzione dei documenti e della libertà di viaggiare. Ancora una volta, guarda caso, sotto l’incombere di inedite Olimpiadi-bis nella capitale, inverno 2022, ma pure nel ciclone della pericolosa crisi finanziaria gialla e alla vigilia della prima mega-parata militare del “nuovo Mao”, con cui Pechino vuole celebrare non i 70 anni dalla fine della seconda guerra, ma dalla vittoria della Cina comunista sul Giappone fascista. Tempismo del partito e silenzi di Ai Weiwei, forse obbligati, spingono i dissidenti storici, in carcere o in esilio, a parlare di «oppositore pentito nel nome della fama e degli affari». Un altro mistero cinese, rese dei conti tra reduci, forse solo un’altra vita scandita dai rovesci del potere.