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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

È bufera sulla Gran Bretagna per il visto limitato (solo due settimane) per Ai Weiwei, l’artista cinese diventato il simbolo del dissenso politico nel suo Paese. Il 9 settembre la Royal Academy of Arts di Londra aprirà una mostra personale delle sue opere, e lui avrebbe voluto esserci, arrivando in anticipo per aiutare ad allestirla. «Si è voluta evitare la sua presenza durante la visita del presidente Xi Jinping»

I “mandarini” del Foreign Office, gli ambasciatori che governano gli interessi della politica estera britannica, l’hanno studiata per bene. Ai Weiwei, l’artista che è diventato il simbolo (controverso) del dissenso politico cinese, non appena riottenuto il passaporto dal suo governo aveva programmato una serie di viaggi in Europa. La Germania gli ha concesso un visto Schengen di 6 mesi con cui potrà entrare e uscire da 25 paesi europei in tutta libertà. Il 9 settembre la Royal Academy of Arts di Londra aprirà una mostra personale delle sue opere, e lui avrebbe voluto esserci, arrivando in anticipo per aiutare ad allestirla.
Non sarà possibile. Il Foreign Office gli ha garantito un visto per soli 20 giorni, lo stretto indispensabile. E soprattutto un periodo di tempo che non gli permetterà di essere in Gran Bretagna quando in ottobre a Londra arriverà il presidente cinese Xi Jinping. Per ora l’artista ha iniziato il viaggio in Germania, ieri sera è arrivato a Monaco: «Qui è dove vive mio figlio, volevamo stare insieme, non lo vedo da anni, ancora non ho fatto piani per il mio viaggio». La scusa con cui i burocrati britannici hanno presentato la loro manovra è che nella sua domanda di visto Ai Weiwei, 57 anni, ha dimenticato di precisare di aver subito «condanne criminali». Ma Ai è stato incarcerato nel 2011 per 81 giorni senza nessun capo d’accusa, senza essere ascoltato o giudicato e tantomeno condannato da nessun giudice. Solo un’azione di polizia per intimidirlo, per ricordargli le regole che deve rispettare, ovvero che il sistema non si può criticare. Aveva preso di mira i funzionari del regime e la loro corruzione anche nell’emergenza del terremoto nel Sichuan.
L’artista ieri ha diffuso su Instagram la lettera con cui il consolato di Pechino gli spiega perché gli viene concesso un visto di soli 20 giorni. La lettera è da perfetto burocrate: «È un fatto di pubblico dominio che lei ha ricevuto in passato una condanna per attività criminali in Cina, e lei non l’ha dichiarato». L’artista spiega di aver «più volte» cercato di chiarire l’equivoco con l’ambasciata, senza essere ascoltato.
La verità è che in ottobre arriverà a Londra in visita di Stato il presidente Xi: secondo il Financial Times «un visto di sei mesi avrebbe potuto rendere possibile la presenza nel paese dell’artista durante il soggiorno del presidente. Motivo di imbarazzo per il governo britannico, che negli ultimi anni ha lavorato duramente per migliorare le sue relazioni con Pechino».
Nel frattempo dal mondo del dissenso e della difesa dei diritti umani cinesi è partita una compagna contro la candidatura di Pechino per le Olimpiadi invernali del 2022. Un gruppo di attivisti ha scritto al Comitato Olimpico Internazionale, che si riunisce oggi in Malesia. Tra i promotori c’è anche l’avvocato per i diritti umani cieco Chen Guancheng e il legale Teng Biao. I promotori spiegano che sotto il governo di Xi Jinping la Cina sta vivendo «una vera e propria crisi dei diritti umani con un’escalation di violenza mai vista prima del 2008». È dal 2013 – anno in cui Xi è salito al potere – «che la situazione è peggiorata nettamente. La lotta alla corruzione contro le “tigri” e le “mosche”, nomi piccoli e grandi della scena cinese, ha portato a un giro di vite senza precedenti in cui sono finiti in manette anche giornalisti, intellettuali, funzionari e attivisti contrari al partito». Secondo Chinese Human Rights Defenders, «almeno 1800 attivisti per i diritti umani sono stati arbitrariamente arrestati da quando il presidente cinese è salito al potere, di cui 260 solo nelle ultime settimane». Tutti vogliono fare affari con la Cina, ogni tanto qualcuno ci ricorda l’altra faccia di quel continente.