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 2015  luglio 29 Mercoledì calendario

Mario Monti fa sapere che non sta preparando l’Eurotassa. L’ex premier parla di riforme («troppo lente»), dell’Europa («Ci vorrebbe più politica. Ma, per favore, non quella che in genere vediamo oggi negli Stati membri»), dei No Euro («I Grillo e i Salvini devono riflettere: l’Italia che loro vorrebbero sarebbe esposta, molto più di oggi, a una Germania super potente, senza remore, senza regole e senza arbitro»), dei tedeschi («Per un’Ue più forte non sono un ostacolo ma al punto di vista della solidarietà hanno l’incubo che finisca per essere una “Transfer Union” che preveda continue sovvenzioni della Germania ad altri Paesi») e di Shäuble («Evita di essere simpatico»)

Mario Monti è al lavoro. Non certo per imporci un’«eurotassa», ma per trovare le soluzioni migliori sulle modalità future di finanziamento dell’Unione Europea, «lasciando invariato – tiene a precisare – l’onere complessivo a carico di cittadini ed imprese derivante dalle fiscalità nazionali e dalle “risorse proprie” di pertinenza della Ue». È questo il mandato del «Gruppo sulle risorse proprie dell’Ue», da lui presieduto, istituito nel febbraio 2014 e che presenterà le sue proposte nella primavera prossima. Verranno discusse in una conferenza con le istituzioni europee e i Parlamenti nazionali che si terrà a Bruxelles nel giugno 2016. «Certo – aggiunge – chi vuole più Europa, e soprattutto un’Europa meglio funzionante, dice da anni che l’Europa dovrà avere un bilancio proprio, non dipendente interamente o quasi dal trasferimento di contributi nazionali, e che anche l’eurozona, con ancora maggiore urgenza dell’Europa dei 28, dovrà avere un bilancio proprio, una fiscal capacity».
La commissione da lei guidata opera in un quadro nel quale agisce anche il gruppo dei «cinque presidenti» che ha pubblicato un mese fa il suo rapporto. Non ritiene che gli obiettivi indicati dai Cinque siano troppo graduali?
«Sì, lo penso anche io. Il rapporto offre una prospettiva, ma rinvia a dopo il 2017 temi cruciali e di cui la crisi greca ha dimostrato ulteriormente l’urgenza. Questo, ovviamente, è per evitare di fare affrontare il dibattito su temi impegnativi per il futuro dell’Europa a due grandi Paesi, Germania e Francia, che avranno le elezioni proprio in quell’anno. Sono riti che francamente non ci possiamo più permettere, perché se vogliamo che l’Europa abbia una sua maggiore capacità di funzionamento e poi non deluda i cittadini non possiamo scaricare sul tavolo europeo tutti i vincoli delle politiche nazionali».
Insomma, non è il caso di perdere tempo.
«Certo. Il piano presentato recentemente dal presidente francese François Hollande e le dichiarazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, pur con contenuti in parte diversi, vanno tutte nella direzione di una accelerazione del progetto di governance dell’eurozona, considerano la questione del bilancio proprio e anche il prolungamento istituzionale di questo, cioè l’equivalente di un ministro del Tesoro dell’eurozona, e addirittura di una controparte parlamentare per esercitare il controllo democratico. Qualcuno dice che questi passi sono tutti ormai inutili perché i cittadini rifiutano l’Europa? No, questa sarebbe una visione sbrigativa. Li considero passi necessari, anche se un po’ tardivi, perché più che rifiutare l’idea di Europa i cittadini sono smarriti e incattiviti per i non funzionamenti dell’Europa. Guardiamo l’attaccamento dei greci all’euro. La Grecia è il migliore esempio di successo della moneta unica. Non è un paradosso. L’ho detto nel 2011 e lo confermo oggi ancora di più. Quanto qualcuno tiene ad una cosa lo si capisce dai sacrifici che è disposto a fare pur di non perderla. Nessuno ha fatto tanti sacrifici quanto i greci, che sono disposti a farne ancora, per rendere la loro economia adatta all’euro, anziché dire addio alla moneta unica».
I tedeschi sono un ostacolo per un’Europa più forte ma anche più solidale?
«Per un’Europa più forte e meglio strutturata dal punto di vista istituzionale i tedeschi non sono un ostacolo. Anzi, sono tra quanti spingono in tale direzione. Dal punto di vista della solidarietà, però, sono quelli che da sempre hanno l’incubo (esagerato, non dico completamente infondato, ma esagerato nelle dimensioni) che un’Unione più avanzata e integrata finisca per essere una “Transfer Union” che preveda continue sovvenzioni della Germania ad altri Paesi. È importantissima l’opera pedagogica (che il governo tedesco non sempre ha fatto e che Angela Merkel all’inizio faceva poco e adesso mi sembra faccia di più) per spiegare in Germania che i cittadini e le imprese tedesche sono tra coloro che traggono maggiori benefici dal mercato e dalla moneta unica».
Qual è a suo giudizio il ruolo del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, favorevole ad una «Grexit» a tempo?
«Resta uno dei più convinti europeisti della Germania. È il ministro delle Finanze e si rende conto di quali siano gli stati d’animo dell’opinione pubblica tedesca. Certo, in questa fase del dibattito sulla Grecia si è avuta a volte l’impressione che quasi mirasse a vedere uscire dall’eurozona un Paese che troppe volte aveva dimostrato di non prendere sul serio le regole. Sicuramente è un uomo che non concede niente in termini di comunicazione per raccogliere simpatie in altre parti di Europa».
Non le sembra un po’ generico lo slogan di Matteo Renzi «cambiare l’Europa»?
«Quello che a me non piace è sostenere così spesso che l’Europa non deve fare la maestrina con la matita rossa. Così dicendo, con tutta l’autorità che ha un presidente del Consiglio in carica, si accredita di fronte all’opinione pubblica una visione riduttiva dell’Europa. Questo accade anche quando si afferma che bisogna dire basta all’Europa della burocrazia perché ci vuole l’Europa della politica. Per far funzionare l’Europa la competenza è indispensabile. Più politica in Europa ci vorrebbe proprio. Ma, per favore, non quella che in genere vediamo oggi negli Stati membri: una politica schiacciata sul brevissimo periodo e pronta ad immolare l’interesse generale sull’altare dei sondaggi».
Ritiene che il populismo e il nazionalismo siano un pericolo grave in Europa?
«Sarebbe stato necessario già da molto tempo che i vertici politici dell’Europa (mi riferisco ai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo) avessero discusso al massimo livello gli ostacoli e le minacce per l’integrazione europea derivanti in misura crescente dai nazionalismi e dai populismi. Mi ha invece sempre colpito, nei Consigli europei, l’assenza totale di discussione politica. Si passava il tempo a cercare di risolvere le crisi finanziarie del momento, senza guardare più lontano. Quando ero premier proposi a Herman Van Rompuy di convocare un Consiglio europeo dedicato alla sfida del nazionalismo e del populismo. Lui fu d’accordo e lo annunciò alla stampa. Qualche giorno dopo mi telefonò la cancelliera Merkel per dirmi che trovava buona l’idea, ma che avrebbe preferito che di questo tema impegnativo si parlasse una volta risolta definitivamente la crisi greca. Era il settembre 2012».
Quale è la sua reazione quando sente parlare di un’uscita dell’Italia dall’euro?
«I “no all’euro” appaiono sempre più radicati nell’insofferenza verso la Germania e nel disprezzo nei confronti della Merkel. Ora, chi ha questa posizione deve stare ben attento. Se si pensasse che uscendo dall’euro, e magari dalla Ue, l’Italia si affrancherebbe d’incanto dall’influenza e dal potere della Germania, si commetterebbe un errore madornale. L’unica entità che disciplina e sottopone a regole comuni tutti gli Stati, compreso il più grande e il più potente, è proprio l’Ue, e in essa l’eurozona. I Grillo e i Salvini devono riflettere: l’Italia che loro vorrebbero sarebbe esposta, molto più di oggi, ad una Germania super potente, senza remore, senza regole e senza arbitro».