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 2015  luglio 28 Martedì calendario

Il lamento di Gianni Mura per il suo Tour, minacciato dagli ultrà. «A me pare che “ognuno al suo posto” sia una frase senza più riscontro nella realtà. Il palco per chi si esibisce, la platea per chi ascolta. La strada per chi corre, i bordi della strada per chi guarda»

Lance Armstrong, che non è un santo, definiva «mitica e mistica» l’Alpe d’Huez. Perché quest’Alpe, chiede un lettore, mi sta così antipatica? Potrei rispondergli, terra terra, che se esistesse una maglia gialla riservata al luogo dove si mangia peggio, in Francia, l’Alpe d’Huez vincerebbe a mani basse. Pochi rivali anche quando c’è da spiumare chi cerca un letto per una notte. Anche per questo non ci vado volentieri, e nemmeno a Bordeaux, Marsiglia, Lione e Grenoble. Invece rispondo partendo da lontano: non vado più ai concerti di musica cosiddetta leggera. Di De Gregori, di Capossela, di chi volete. So di perdere qualcosa di bello, ma so di risparmiarmi qualcosa di insopportabile. Ossia la fila davanti, quella dietro, quelli di fianco che appena il cantante attacca una canzone, bastano due note, la cantano tutta ad alta voce. Provate a dire a questi coristi che avete pagato il biglietto per ascoltare De Gregori, mica loro. Nel migliore dei casi vi guarderanno male, come cercaste di levargli un diritto. Ora, senza scomodare i vecchi Inti (El derecho de vivir en paz) a me pare che “ognuno al suo posto” sia una frase senza più riscontro nella realtà. Il palco per chi si esibisce, la platea per chi ascolta. La strada per chi corre, i bordi della strada per chi guarda. L’Alpe è il concentrato del peggior pubblico che il ciclismo abbia avuto da mezzo secolo in qua ed è sintomatico che, per esaltare questo bordello, si parli di tifo da stadio. Non è un complimento. La calcistizzazione del tifo può solo danneggiare il ciclismo, che ha già i guai suoi. La calcistizzazione del tifo ormai si ostenta, dagli olandesi a Roma ai turchi a Klagenfurt a spezzini e bolognesi a Castelrotto. Si esporta. Si impone. È da stadio il triplo gesto dell’ombrello sotto il naso di Froome. Com’è un classico da stadio il lancio di piscio dall’anello di sopra a quello di sotto. Salendo verso l’Alpe a Froome è andata molto meglio. Gli hanno lanciato addosso solo birra.
Il ciclismo non ha barriere, non si può transennare tutto il Tour. Il ciclismo non chiede un euro a nessuno, chiede solo di lasciare libera la strada, non quel metro per passare tra pazzarielli che giocano al torero o rincorrono fino allo sfinimento urlando non si sa che o zampettano ignudi. Dalla Bretagna alla Savoia non si tifa ma si fa casino lungo le strade per farsi riprendere dalla tv. Strano che a nessuno sia mai venuto in mente di bloccare la corsa: basta stendersi a terra in una ventina. Sarà più o meno sporco, il ciclismo, ma se salta la regola non scritta del rispetto per chi pedala non c’è futuro. Allo stadio il tifo non porta gli spettatori a correre insieme a chi tira il rigore. A picchiare avversari ed ex beniamini sì. Durante il lungo braccio di ferro tra Anquetil e Poulidor, con la Francia spaccata in due, gli spettatori furono correttissimi. E infine, a proposito di calcio, dopo un mese d’astinenza penso che rivedrò fino alla nausea quelli che si schiantano al suolo senza che nessuno li abbia toccati, quelli che rotolano gemendo e stanno fermi tre minuti per un colpetto alla caviglia. Mentre al Tour ho visto corridori schiantarsi al suolo a 70/80 all’ora e cercare di risalire subito in sella, e pedalare fino al traguardo dove gli riscontrano la frattura della clavicola, o del polso, o di due vertebre (Cancellara). Nessuna morale, nessuna favola. Sono due mondi lontani: stia ben attento il ciclismo alle invasioni barbariche.
Due lettori mi chiedono conto delle poche o punte divagazioni gastronomiche. Touché, fino a un certo punto. Quasi ogni giorno al Tour è successo qualcosa, in corsa intendo, che meritava di essere raccontato. Un articolo di giornale non è un diario di viaggio, in genere è la corsa piatta a spingermi sul cassoulet o sul fiume più corto di Francia, a Veules- les-Roses. A differenza delle pedalate di Froome, questo l’hanno misurato al centimetro: metri 1.194,35. Qualche buon indirizzo l’ho scovato e lo leggerete sul Venerdì. E poi non bisogna credere che siano tutte rose e fiori. A Crest, ristoranti già chiusi alle 21, pizzerie che avevano finito l’impasto, il pomodoro, tutto, un cheeseburger neanche griffato e una bibita gassata di color marrone, in lattina. Allo stesso modo, dubito che interesserebbe la descrizione di un’omelette con patate fritte alle 23 passate, a Lourdes, scesi dal Plateau de Beille. Un autentico carnet de voyage si potrebbe anche realizzare, percorrendo in anticipo tutto il percorso del Tour, ma è difficilmente realizzabile per motivi di spazio, di palanche e forse anche di salute dello scrivente.