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 2015  luglio 28 Martedì calendario

La rivoluzione iraniana, l’Ayatollah Khomeini, l’assalto all’Ambasciata degli Stati Uniti e i 60 ostaggi americani. Nei giorni in cui si discute dell’accordo sul nucleare di Teheran, Sergio Romano ricorda la crisi del ’79

In questi giorni, a proposito dello storico accordo sul nucleare iraniano, molti ricordano la «crisi degli ostaggi americani a Teheran» del 1979, quando un gruppo di studenti islamici prese in ostaggio 52 membri dell’ambasciata statunitense nella capitale persiana. Leggo su Wikipedia che la crisi diplomatica durò quasi due anni, e giunse alla conclusione solo grazie all’intervento pacificatore dell’Algeria. Secondo molti, l’allora presidente Jimmy Carter si rivelò non all’altezza del suo ruolo, portandolo quindi a un inevitabile sconfitta alle elezioni presidenziali del 1980. Davvero fu l’Algeria a risolvere la situazione? In che cosa sbagliò Jimmy Carter? Come andarono veramente le cose?
Davide Chicco
dave.noise@gmail.com

Caro Chicco,
La rivoluzione iraniana fu anzitutto nazionale. Agli occhi di molti dei manifestanti (tre milioni) che accolsero l’Ayatollah Khomeini all’aeroporto di Teheran il 1° febbraio 1979, lo scià Reza Pahlevi era il fantoccio degli americani, l’uomo che la Cia e i servizi britannici avevano rimesso sul trono nel 1953. Non avevano torto. Il colpo di Stato di quell’anno era stato progettato dagli inglesi, ma realizzato dagli americani, per eliminare un Primo ministro, Mohammad Mossadeq, che aveva nazionalizzato le risorse petrolifere del Paese con grandi danni per le «Sette Sorelle».
Da allora l’Iran era stato la fedele sentinella degli Stati Uniti nel Golfo Persico, l’anello di una catena che Washington considerava indispensabile per la propria sicurezza. Non era sorprendente che questa sudditanza avesse suscitato reazioni nazionaliste. Con le sue omelie, intanto, Khomeini dava alla polemica contro gli Stati Uniti una connotazione etica e spirituale. Per il Grande Ayatollah gli Stati Uniti erano doppiamente colpevoli. Avevano sostenuto il regime corrotto ed esecrabile dello Scià e avevano diffuso nel mondo una concezione sacrilega, un tipo di società fondata su consumismo, edonismo, erotismo.
Fu questo, caro Chicco, il clima in cui un gruppo difficilmente calcolabile di giovani iraniani (forse cinquecento) dette l’assalto all’Ambasciata degli Stati Uniti e s’impadronì di quasi 60 ostaggi. Gli americani reagirono con il congelamento dei fondi iraniani negli Stati Uniti e, il 24 aprile del 1980, con una operazione di commando che cercò di liberare gli ostaggi. Ma due elicotteri si scontrarono nel deserto, alle porte di Teheran, e otto soldati americani morirono. Nei mesi seguenti, mentre gli Stati Uniti si preparavano alle elezioni presidenziali, vi furono negoziati ad Algeri con i buoni uffici del governo algerino. Se gli ostaggi fossero stati liberati prima del voto, molti elettori americani, probabilmente, avrebbero riconosciuto al presidente Carter il merito di avere chiuso, bene o male, un brutto capitolo della politica estera americana. Ma il governo iraniano trattenne gli ostaggi sino al 20 gennaio 1981, quando l’inquilino della Casa Bianca era ormai Ronald Reagan. Il Grande Ayatollah voleva punire Carter e ci era riuscito.