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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

Nove anni di fallimenti per Messi, il nemico della Pulce si chiama Argentina. In Nazionale, a Leo servirebbe l’arroganza di Diego. È raramente all’altezza di se stesso. Mario Sconcerti: «Giocando da sempre all’estero, sente di dover riempire il vuoto, di far capire ogni volta chi è»

La Stampa

Stavolta Messi non ha neppure portato a casa la medaglia, si è sfilato il riconoscimento per il secondo posto in Coppa America ancora sul campo e ha lasciato il trofeo del miglior giocatore sul piedistallo. Basta.
Sono 22 anni che l’Argentina non vince nulla ed è dal 2006 che la Pulce rincorre un successo in nazionale. Ha festeggiato con l’Under 20, ha un oro olimpico, ma nulla da mettere sul piatto dell’eterno confronto con Maradona, nulla che zittisca la feroce critica: «È figlio del Barcellona». La patria non lo risparmia e pazienza se la finale contro il Cile era la partita numero 67 di una stagione infinita, anzi peggio. In questa maratona Messi ha incassato il triplete con il Barcellona e ha perso la finale Mondiale e la finale di Coppa America con la nazionale. I conti non tornano.
Una generazione sconfitta

Inutile elencare gli incalcolabili falli subiti, compreso il nauseante calcio nello stomaco di Medel, il Cile non è la prima squadra che decide di ingabbiare il numero 10 solo che il Barcellona gli evita il massacro, l’Argentina no. Il filotto è disperante: terza finale sfumata, due nella Coppa sudamericana (2007 e 2015) e una ai Mondiali brasiliani sfuggiti ai tempi supplementari. Più le tre eliminazioni ai quarti nel 2006, nel 2007 (ancora Copa America) e nel 2010.
Dovrebbe essere il fallimento di una generazione, capitano compreso certo, invece pare sia solo colpa di Messi.
Lui, dopo l’ennesima partita da dimenticare con la Seleccion, scansa la responsabilità. Se ne va senza dire una parola, senza ricordi, senza souvenir. Ne ha pieni i cassetti e ha esaurito le frasi di cortesia. La sconfitta di Rio contro i tedeschi gli ha fatto male, solo che credeva di essersi almeno tolto di dosso l’antico pregiudizio «preferisce il Barça». Non è così, non c’è pace. La sintesi è sempre la stessa: Maradona ha saputo vincere un Mondiale con un’Argentina tutt’altro che fenomenale, Messi non riesce a guidare compagni di talento. Peggio non riesce a sceglierli. Non starebbe a lui , ma nessun ct azzecca l’incantesimo, mettere in campo i migliori ed esaltare con quegli uomini il gioco di Messi.
La sintesi pare impossibile e il tempo passa. L’anno prossimo c’è un trofeo jolly: la Coppa America del centenario. Messi proverà a non arrivarci stravolto. Se ci crede ancora. In Argentina vorrebbero che mettesse in secondo piano i blaugrana e si preservasse per la prossima estate. Richiesta esosa.
Giulia Zonca

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Corriere della Sera


A Leo servirebbe l’arroganza di Diego è in effetti strana perché lunga questa storia inodore di Messi in Nazionale. Raramente è all’altezza di se stesso. È certamente un fatto emotivo. Giocasse in Argentina sarebbe più goduto, più abituato al giudizio del Paese. Giocando da sempre all’estero, Messi sente di dover riempire il vuoto, di far capire ogni volta chi è. Nemmeno la Nazionale lo aiuta. Gioca di rimessa, senza veri attaccanti, con poche sponde. Ma è anche vero che Messi, al contrario di Maradona, è soprattutto un solitario. Il suo gioco si esaurisce quasi sempre in se stesso, prodigioso e spettacolare proprio perché ramingo. Maradona non aveva le sue doti di attaccante, segnava decisamente meno. Quando li si paragona si dovrebbe sempre ricordarsi che sono merce diversa. Maradona era però un leader, aveva bisogno di responsabilità in campo, amava essere il riferimento e lo scudo di tutti. Maradona era l’uomo della squadra, Messi costruisce una squadra perché segna tanto. La piccola verità è che Messi e Maradona avrebbero potuto benissimo giocare insieme. Non è un obbligo d’altra parte che l’Argentina di Messi vinca Mondiali e Copa America, anche Maradona vinse un solo Mondiale, ma è strano le perda sempre all’ultimo minuto, nella partita in cui la classe individuale ha il dovere di dare una differenza. Forse questa emotività da emigrante di lusso condiziona davvero Messi fino a limitarlo. Forse questo è il suo confine in fondo a uno spazio infinito. È nel suo migliore momento atletico. Quell’intermittenza che lo rende anonimo dovrebbe essere superata quasi di slancio, per semplici doti naturali. Invece insiste. Non ci sono spiegazioni tecniche. A Messi manca l’arroganza di Maradona, il suo voler essere di tutti. Messi parla poco, ha un carisma eccezionale ma solo tecnico, travolge ma non trascina. Probabilmente soffre molto di questa incompiutezza. Ma questo ne fa almeno un uomo normale, più reale di Maradona.
Mario Sconcerti