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 2015  giugno 30 Martedì calendario

Il Parlamento europeo vuole vietare le foto ai monumenti senza il permesso degli architetti. Si tratta di un testo di indirizzo sulla revisione del copyright: per pubblicare immagini o video di opere d’arte o d’architettura contemporanea collocate nello spazio pubblico sarà sempre necessario ottenere l’autorizzazione preventiva, si presume onerosa, «degli autori o di chi agisce in nome loro»

Attenti alle foto dei viaggi che avete sul telefonino, nell’hard disk, o sull’album online. È roba che scotta. Usarle potrebbe diventare illegale fra pochi giorni. Il 9 luglio il Parlamento europeo voterà un testo di indirizzo sulla revisione del copyright, che contiene una brutta sorpresa per i fotografi, professionisti o dilettanti: per pubblicare foto o video di opere d’arte o d’architettura contemporanea collocate nello spazio pubblico sarà sempre necessario ottenere l’autorizzazione preventiva, si presume onerosa, «degli autori o di chi agisce in nome loro». Il divieto, certo, vale solo per gli usi «commerciali», ma qualsiasi pubblicazione lo è: una cartolina, una rivista, una guida turistica, una stampa d’autore, il catalogo di una mostra, il proprio blog se ha un banner pubblicitario. Nell’era del Web il confine fra foto privata e foto pubblicata è incerto. Perfino caricare su Facebook il vostro selfie davanti al ponte di Calatrava diventa rischioso, visto che il social network vi chiede di garantire, sotto la vostra responsabilità, che le foto che postate siano libere da diritti verso terzi. Insomma per utilizzare la vostra foto panoramica in qualsiasi spazio che abbia a che fare anche indirettamente con un ricavo economico dovrete chiedere il permesso agli architetti o agli artisti le cui creazioni compaiano nella vostra inquadratura.
Ed è difficile che non ci compaiano. Potete fare un panorama di Londra che non includa la ruota, o lo Shard, o il Gherkin? Potete escludere da una veduta del porto di Genova la “bolla” di Renzo Piano? Perfino la vecchia Tour Eiffel è sotto copyright, se la fotografate di notte. Di fatto sarebbe un divieto di panorama, denuncia Julia Reda, leader del partito dei Pirati tedesco, che come relatrice di quel testo aveva proposto l’esatto contrario, cioè di liberalizzare le vedute delle nostre città, ma se l’è visto ribaltare da un emendamento votato coralmente da socialisti, popolari e liberali di un’Europa che sa unirsi d’incanto quando si tratta di difendere diritti proprietari ai danni di diritti collettivi.
Perché, appunto, lo skyline di una città «è un bene comune», si sdegna Massimo Stefanutti, avvocato specializzato in diritto d’immagine ma anche esponente dello storico circolo fotografico veneziano La Gondola: «Quel che posso vedere liberamente nello spazio pubblico, devo poter liberamente fotografare e condividere. Se passasse quel testo, per molti paesi europei sarebbe un passo del gambero».
Il “diritto di panorama”, infatti, come deroga al diritto d’autore, è riconosciuto in modi diversi in più di mezza Europa. Non in Italia, però, dove il codice Urbani del 2004 impone autorizzazioni perfino sui beni culturali storici. Inoltre, alcuni sindaci (pioniere, nel 2011, Quirico d’Orcia) hanno messo sotto monopolio l’intero paesaggio comunale.
 È arrabbiato Andrea Zanni, presidente di Wikimedia Italia che ogni anno organizza la campagna fotografica Wiki Loves Monuments: «Già ora ci tocca spedire pacchi di richieste di autorizzazione a comuni, privati, soprintendenze», spiega, «da questo punto di vista per noi non cambia molto. Ma se altri paesi europei si adeguassero, potremmo anche dover cancellare da Wikipedia migliaia di fotografie scattate grazie alla libertà di panorama».
Mentre l’industria dei fotocellulari ci sollecita a fotografare qualsiasi cosa, quel che si può fotografare è sempre più spesso sottoposto a pedaggio: passanti chiedono i danni allo street photographer che abbia avuto la sventura di inquadrarli in un reportage, o per una mostra. Ora ci si mettono anche gli archistar? Architetto di fama, Mario Cucinella sembra scettico: «Un divieto così per prima cosa è inapplicabile… Dovrei correre dietro a milioni di pagine internet o di dépliant?». Inapplicabile, ma anche ingiusto? «Edifici progettati da noi, come la sedi della 3M a Milano, sono molto fotografati: lo considero un riconoscimento di valore. Nessun architetto può pensare di lucrare sui diritti di riproduzione, tranne in caso particolari, se usano l’edificio come set di pubblicità di un’auto, per esempio. Il problema semmai c’è se l’opera viene fotografata e riprodotta in un modo che ne mortifica la qualità. Come pubblicare un Van Gogh coi colori sbagliati».
Ma allora basterebbero regole specifiche contro la “diffamazione visuale” o il parassitismo pubblicitario. Un divieto generalizzato pare assurdo a molti, una petizione contro la decisione è già partita. Ma gli interessi in gioco sono consistenti. A Londra il prestigioso centro direzionale Broadgate affitta a 500 sterline l’ora i suoi scenari come location fotografica. L’immagine dell’architettura è un bene che può essere messo a rendita. Ma così si trasforma la città in una bacheca di prodotti in vendita. «Quel che è peggio», prevede Valerio Berdini, fotografo italiano a Londra, «è che questo renderà ancora più prepotenti le security che ti rincorrono sulla pubblica strada mettendoti la mano sull’obiettivo e gridando no photos!».
Contro questo abuso il Congresso Usa discuterà una leggeper ribadire che non si può proibire di fotografare quel che è esposto al pubblico. L’hanno chiamata Ansel Adams Act, in onore del grande fotografo della scena americana. In Italia, un Adams non c’è. Ma ci fu Carlo Brogi, che nel 1892 capeggiò una rivolta di colleghi fotografi (inclusi gli Alinari) ontro la tassa che il regio governo imponeva a chi fotografasse i patri monumenti. Il bello è che vinse la sua battaglia, la tassa fu ritirata. Oggi Bruxelles avrebbe bisogno di una “legge Brogi”.