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 2015  giugno 30 Martedì calendario

Il Corriere intervista Poroshenko. Il presidente dell’Ucraina parla di Putin («Non rispetta un solo patto»), di sanzioni («Fino a che non si convinceranno a ritirare le truppe di occupazione dal mio Paese sono strumento di pressione per rendere credibile il negoziato»), della Nato («Non chiederemo di entrare prima di 6-7 anni»). Intanto però «il governo russo ha un atteggiamento di chiusura su tante cose. Ci ha portato via quasi il 20% della nostra economia, invadendo il Donbass. Ci ricatta con le forniture di energia. Sono decisioni che non dipendono da me. Le ha prese Putin, in modo unilaterale»

Petro Poroshenko aspetta nel suo ufficio al quarto piano del palazzo presidenziale, sulla collina che domina Maidan. Ci si arriva salendo per scalinate imponenti, con una sosta obbligata al secondo piano, dove i suoi collaboratori mostrano un corridoio trasformato nel Pantheon della nuova Ucraina. Niente busti in marmo di pensatori o statisti del passato. Bensì 16 gigantografie. Sedici eroi viventi, tutti impegnati nella guerra del Donbass, nell’Est del Paese contro i separatisti. La prima intervista concessa dal presidente ucraino a un giornale italiano non può che cominciare da qui. Poroshenko ha 49 anni, è in carica dal 7 giugno 2014. Il mandato dura cinque anni.
Qual è la situazione nella zona di guerra al confine orientale con la Russia? Stanno funzionando gli accordi di Minsk?
«Francamente iniziamo questa conversazione con la domanda più difficile: perché stiamo parlando del più grande pericolo non solo per l’Ucraina, ma per l’intera Europa. Gli accordi di Minsk sono stati firmati il 12 febbraio tra Ucraina e Russia, con la mediazione decisiva della cancelliera Merkel e del presidente Hollande. Le misure da attuare sono quattro: il cessate il fuoco; il ritiro dell’artiglieria pesante; il rilascio dei prigionieri; l’accesso immediato agli ispettori dell’Osce in ogni area del conflitto per verificare il rispetto dell’intesa. Ebbene, sfortunatamente, non è successo nulla».
Niente di niente?
«Esatto. Niente. E non siamo solo noi a dirlo. C’è il rapporto dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ndr ). La Russia sta continuando a mandare truppe, armi e finanziamenti per un miliardo di dollari ai terroristi nel Donbass. Noi siamo pronti al dialogo, il nostro Parlamento sta discutendo una legge speciale per tenere elezioni locali in quelle regioni. Siamo pronti a ricostruire le città e i villaggi distrutti. Siamo pronti a rimettere in piedi il sistema bancario. Ma certo non possiamo farlo fino a quando banditi armati di kalashnikov bloccano i nostri convogli umanitari o rubano i soldi che spediamo e poi li usano per finanziare attentati nelle nostre città, a Kharkiv, Odessa e altrove».
Qualche giorno fa Putin ha chiamato Obama per riprendere la discussione sulle crisi internazionali, Ucraina compresa. E in un’intervista al «Corriere della Sera», pubblicata il 6 giugno, il presidente russo ha sostenuto di non sentirsi «un aggressore» e di essere pronto a negoziare. Sono segnali positivi?
«Sicuramente è una buona cosa che Putin abbia telefonato a Obama. Ma è l’unico segnale positivo che vedo da molti mesi. Putin ha invaso una parte del nostro Paese, su questo non ci sono discussioni. E lo ha fatto dopo aver annesso direttamente la Crimea. Oggi per ordine di Putin sul nostro territorio sono ammassati 200 mila uomini e un arsenale rifornito di carri armati, sistemi sofisticati lancia missili, razzi per la contraerea. Uno di questi ha abbattuto l’aereo civile della Malesia lo scorso anno».
State chiedendo armi pesanti, letali, agli Stati Uniti?
«Sì, stiamo chiedendo questo tipo di armamento agli Stati Uniti. Fa parte del nostro diritto di Stato sovrano. Ma finora non ne abbiamo ricevute. Stiamo negoziando con loro».
Che cosa avete ricevuto finora?
«Glielo dico con grande trasparenza nella mia qualità di comandante in capo: postazioni elettroniche di contro artiglieria, equipaggiamenti per le comunicazioni, un piccolo numero di blindati con mitragliatrici, piccoli droni da ricognizione. Inoltre collaboriamo con l’intelligence americana e abbiamo istruttori statunitensi, britannici e canadesi. So bene che questa guerra non si può vincere sul piano militare. Ma ho il dovere di fare il possibile per difendere il mio Paese dall’aggressione della Russia: una minaccia, ci tengo a ripeterlo, per tutta l’Europa».
La Nato sta rafforzando la presenza armata negli Stati baltici, in Polonia, in Germania. È necessario o può innescare una pericolosa reazione a catena?
«È necessario. Nel mondo non esiste un altro sistema che può garantire la sicurezza come la Nato».
L’Ucraina chiederà di farne parte?
«Non sono maturi i tempi. Per entrare nella Nato occorre soddisfare diversi requisiti. Stiamo lavorando per riformare a fondo il Paese, dal punto di vista economico, sociale, amministrativo. Sarà un lungo lavoro: ci vorranno almeno 6-7 anni. Quando saremo pronti, convocheremo un referendum per chiedere al popolo ucraino se dovremo entrare o no nell’Alleanza atlantica».
Anche la strada verso l’integrazione europea non è facile…
«È un percorso diverso. Abbiamo cominciato con l’accordo di associazione all’Unione Europea che è stato già ratificato da 21 Paesi. Altri quattro ne stanno discutendo. L’Italia è tra questi: l’intesa è passata alla Camera e ora è all’esame del Senato. Vorrei cogliere questa opportunità per ringraziare il Parlamento italiano e chiedere al Senato di ratificare il più presto possibile l’accordo, per noi è una questione di vitale importanza».
L’Unione Europea ha appena prorogato la durata delle sanzioni economiche a carico della Russia fino al termine del 2015. Ma in diversi Paesi, a cominciare dall’Italia, cresce l’insofferenza delle imprese esportatrici. Fino a quando sarà necessario continuare?
«Fino a che la Russia non si convincerà a ritirare le truppe di occupazione dal mio Paese. Le sanzioni sono uno strumento di pressione per rendere credibile il negoziato. Agli europei dico che ci troviamo di fronte a un dilemma antico, la scelta tra il denaro e i valori. Ma l’Unione Europea è fondata sulla condivisione di valori come la democrazia e la libertà, esattamente quelli che noi oggi stiamo difendendo. Vorrei, però, aggiungere che il prezzo delle sanzioni è anche un investimento sul futuro libero dell’Ucraina, su un mercato di 45 milioni di persone che sta già attirando l’attenzione delle imprese, anche quelle italiane. Mercoledì scorso ero qui con il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita, a discutere proprio di investimenti e opportunità per l’Italia nel nostro Paese».
Presidente Poroshenko, lei è stato un imprenditore che ha cominciato producendo cioccolato e vendendolo anche sul mercato russo. In Europa si pensava che lei potesse essere l’uomo giusto per ristabilire un rapporto pacifico con Putin. Perché non ha funzionato?
«Non so. Vedo che il governo russo ha un atteggiamento di chiusura su tante cose. Ci ha portato via quasi il 20% della nostra economia, invadendo il Donbass. Ci ricatta con le forniture di energia, altro tema su cui dobbiamo rafforzare la cooperazione con gli europei. Sono decisioni che non dipendono da me. Le ha prese Putin, in modo unilaterale».