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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

La Cassa Depositi e Prestiti da luogo di fede pubblica a luogo di fede politica? Il guazzabuglio di Renzi e Palazzo Chigi che sembra voler resuscitare l’Iri. Scrive Alberto Statera: «Cosa abbia in testa il premier lo sanno in pochi, e forse non lo sa tanto bene neanche lui, che interrogato sull’argomento ha evocato all’inizio ignote "ragioni tecniche". Solo un po’ meno criptico Andrea Guerra, che ha lamentato la pigrizia della Cdp sul caso Ilva, su Telecom, l’Export Bank, e quant’altro, invocando uno statuto proattivo. In parole povere, il progetto di una longa manus del governo, pronta a esaudire operazioni di politica industriale»

«Luogo di fede pubblica», come una Chiesa. Così fu proclamata dal Regno di Sardegna, che la fondò a Torino nel 1850, la Cassa Depositi e Prestiti, che ieri in consiglio d’amministrazione ha vissuto il primo giorno della sedizione voluta fortemente da Matteo Renzi e dal suo mentore economico Andrea Guerra. Una sedizione cominciata dalla coda: non da una riforma della mission, come si dice, ma da una decapitazione, secondo la dottrina della rottamazione degli uomini. E che uomini. Franco Bassanini, ex ministro, autore di una delle più profonde riforme, sia pure insufficiente, della Pubblica amministrazione italiana, e Giovanni Gorno Tempini, ex ufficiale dei carabinieri e banchiere.
Cosa abbia in testa il premier lo sanno in pochi, e forse non lo sa tanto bene neanche lui, che interrogato sull’argomento ha evocato all’inizio ignote «ragioni tecniche». Solo un po’ meno criptico l’ex plurilodato ex amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, che ha lamentato la pigrizia della Cassa sul caso Ilva, su Telecom, l’Export Bank, il Fondo Salva Imprese e quant’altro, invocando un nuovo progetto, più incisività e uno statuto proattivo, cioè che percepisca in anticipo i cambiamenti. In parole povere, il progetto di una longa manus del governo, pronta a esaudire con inedita prontezza operazioni di politica industriale magari anche un po’ avventurose, come è avvenuto per l’Ilva. Da luogo di fede pubblica a luogo di fede politica ?
La Cassa è un gigante, dormiente secondo Renzi, finanziato dai 250 miliardi di risparmio postale, che controlla il 25,7% di Eni e il 100% di Sace, Fintecna e Cdp Reti (con quote di Snam e Terna), partecipa 424 aziende con attivi per 401 miliardi, un patrimonio di 35 miliardi e che in cinque anni ha distribuito ai suoi azionisti (Tesoro e Fondazioni bancarie) 3,8 miliardi di dividendi. Insomma, non è una centrale del latte, come ha detto l’ex Banca d’Italia Angelo De Mattia, anche se il Fondo Strategico Italiano con il latte ha a che fare perché fu costituito come risposta all’acquisizione di Parmalat da parte dei francesi di Lactalis.
Avviata ieri la procedura per insediare alla presidenza della Cassa Claudio Costamagna, ex banchiere di Goldman Sachs, più complessa è quella per nominare amministratore delegato Fabio Gallia, ad uscente di Bnl-Bnp Paribas, che pare non susciti particolari sentimenti di abbandono nel presidente Luigi Abete. È sul candidato dato in pasto in anticipo, poveretto, che la giovanile irruenza di Renzi ha creato un vero guazzabuglio. Su Gallia, la cui scelta è stata fatta filtrare da palazzo Chigi con almeno un mesetto di anticipo, pende infatti una citazione in giudizio, per cui per poterlo nominare lo statuto della Cdp deve abrogare subito la clausola di onorabilità, che fa scattare l’ineleggibilità dell’amministratore. Statuto ad personam anche se la norma, voluta a suo tempo dal ministro Fabrizio Saccomanni era già stata rifiutata da Eni, Terna e Finmeccanica e introdotta solo da Cdp e Enel.
Intendiamoci, nel momento in cui una pletora di nodi politici e economici si intrecciano pericolosamente mettendo a rischio la continuità del governo, il premier – magari con qualche prudenza in più – ha il diritto e il dovere di tracciare le grandi linee di una politica industriale, che fin qui ha latitato. E anche di giudicare il lavoro fatto in questi anni dalla Cassa. Che strategie sono state messe in campo per le imprese italiane più strategiche, come Telecom che da ieri è a guida francese ? Che senso hanno alcuni interventi ? Ad esempio negli alberghi superlusso di Rocco Forte, che, a parte il nome, non ha niente di italiano, ha bilanci in perdita, un fatturato di 246 milioni di euro e debiti per 600 milioni. La Cdp ha investito attra- verso il Fondo Strategico un’ottantina di milioni di euro nel gruppo inglese, che vuole acquistare alcuni immobili demaniali per farne grandi alberghi. A Peschiera sul Garda la caserma e carcere militare XXX Maggio, a Venezia l’ex carcere di San Severo, a Bergamo Palazzo Lupi, ex sede della Brigata Legnano, a Torino la Corte Pagliera, parte della Reggia di Venaria. Per statuto la Cdp non può investire in aziende che non abbiano dato utili negli ultimi due anni. Sarà conservato questo paletto o il governo deciderà di ammorbidirlo? E il Fondo per la difesa degli asset strategici come sarà utilizzato? Proprio ieri Bolloré si è presentato con Vivendi come azionista di riferimento di Telecom e ha chiesto un incontro con Renzi. Di un possibile intervento della Cassa in Telecom si parla da tempo e si sa che il presidente del Consiglio considera la rete Tlc strategica per l’Italia. Forse è arrivato il momento in cui nella sua agenda ingarbugliata si deciderà a inserire qualche concetto compiuto di politica industriale, anche per spiegare se la Cdp, come qualcuno teme e qualcuno auspica, sarà la testa di ponte verso un nuovo Iri. A questo proposito, in assenza di pubblici proclami del premier, sarà interessante la settimana prossima seguire Andrea Guerra nel ruolo di relatore a un convegno milanese sul tema “La liquidazione dell’Iri” per capire l’aria che tira a palazzo Chigi. Naturalmente, nessuno crede che il modello Iri sia oggi replicabile, ma chissà che non prenda forma qualcosa che non sarà Iri, ma che un po’ gli somiglia. Da imperituro liberista che sa come va il mondo, il professor Francesco Giavazzi dice della Cdp e della sua futura mission che se dai 100 euro a un ragazzino da usare solo per le emergenze, non passerà molto prima che li usi per cambiare il suo smartphone. Ma Vito Gamberale, ex manager pubblico passato al privato, invece è fiero di proclamare: «Magari risorgesse l’Iri!».