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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

«La legge sul reato di tortura è sbagliata e pericolosa, espone i poliziotti e i carabinieri al ricatto. Il delinquente lo devono prendere e si sbuccia il ginocchio... cazzi suoi». Così Salvini sale ancora una volta sul carro del malcontento e se la prende con Strasburgo («Non deve rompere le scatole») e con Pansa («Non il è miglior capo della polizia possibile»). Ma gli agenti si dividono

Con addosso la pettorina gialla del Sindacato autonomo di Polizia, Matteo Salvini fa quello che meglio gli riesce, ossia salire sul carro del malcontento. Dovunque esso si trovi. «La legge sul reato di tortura è sbagliata e pericolosa, espone i poliziotti e i carabinieri al ricatto», diceva ieri, manifestando con il Sap davanti a Palazzo Chigi. «Se poi un delinquente lo devo prendere per il collo e si sbuccia il ginocchio... cazzi suoi». Parole da cui due sindacati maggiori, Silp e Siulp, prendono le distanze. Definendola, né più né meno, una «strumentalizzazione».
Roma, Piazza Colonna, le 16 di ieri. Il segretario della Lega sta partecipando alla protesta del Sap (in 100 punti strategici della capitale e di Milano) contro il ddl che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano, attualmente fermo al Senato dopo essere stato approvato, e annacquato, dalla Camera ad aprile. Con Salvini, che firma autografi e si fa i selfie con i delegati sindacali, c’è anche Roberto Maroni. «Governo e Parlamento tutelano di più chi commette i reati rispetto a chi difende i cittadini», dichiara il governatore della Lombardia. Poi Salvini se ne esce così: «La Corte di Strasburgo (che ha condannato il nostro paese perché non ha una legge sulla tortura, ndr) non deve rompere le scatole all’Italia. E Pansa non il è miglior Capo della polizia possibile: mai come oggi i poliziotti si sentono abbandonati dai loro dirigenti». Musica per le orecchie di Gianni Tonelli, segretario generale del Sap da sempre critico nei confronti della gestione di Pansa. «Il disegno di legge in discussione – sostiene Tonelli – nasconde la volontà di punire le donne e gli uomini in divisa». In realtà, per come è uscito da Montecitorio, l’articolo 613 bis che modifica il Codice penale e che recepisce la Convenzione di New York del 1984, si è parecchio ridimensionato. «Adesso è una norma mediocre», sostiene il senatore Pd Luigi Manconi. «Dubito che sarà approvato entro questa legislatura». Il reato di tortura da proprio (cioè specifico per le forze dell’ordine) è diventato comune, con aggravanti se commesso da pubblici ufficiali. «È punito da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge a una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti», recita il testo, tornato in commissione al Senato. Ma nemmeno così il Sap è soddisfatto, ora si scaglia sul concetto di “forti sofferenze mentali”: «Chi potrà certificare dinanzi a un giudice una così intima angoscia? Qualunque poliziotto sarà esposto a denunce». Anche il Consap è dello stesso avviso: «l’esecutivo, con la complicità di Alfano, sta confezionando una polpetta avvelenata»).
Opione opposta quella di Daniele Tissone, segretario del Silp Cgil: «Giusto introdurre il reato comune di tortura, va evitata però la previsione di norme penalmente rilevanti per comportamenti minimamente offensi- vi. Salvini che scende in piazza col Sap è una manovra politica di bassa lega, un tentativo strumentale e politico di accattivarsi le simpatie degli agenti». E Felice Romano, del Siulp, aggiunge: «Non capiamo le ragioni delle sue critiche a Pansa. Facile parlare di ruspe e di respingimenti dei profughi quando si è all’opposizione, ma gli unici che affrontano ogni giorno i problemi della sicurezza e dell’immigrazione sono come al solito i poliziotti e i volontari».