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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

La doppia delusione di Bassanini. Dalla sostituzione avvenuta a mezzo stampa alla Telecom, passando per Padoan, Renzi, Costamagna, Guerra, Bolloré e i piani di governo. Ecco perché il premier aveva una gran fretta di cambiare i vertici della Cassa depositi e prestiti

Apprendere dai giornali che ti stanno per sfilare la poltrona sulla quale stai seduto comodamente da otto anni non dev’essere piacevole per nessuno. Quindi non lo è stato nemmeno per Franco Bassanini. E questo nonostante l’ormai ex presidente della Cassa depositi e prestiti, incarico che ha ricoperto dal 2007, sia stato quasi senza soluzione di continuità parlamentare, ministro e manager pubblico per decenni. Perciò scafato abbastanza per sapere come va la vita. Ci si può forse sorprendere che un nuovo governo voglia mettere i propri uomini ai posti che contano in una grande società di Stato? Quante volte, quando era nella stanza dei bottoni, anche lui sarà stato coinvolto in decisioni tanto spiacevoli?
Ma proprio qui c’è qualcosa che non torna. È quella che si potrebbe definire una doppia delusione. Il presidente della Cassa depositi e prestiti ha appreso dell’intenzione di sostituirlo, come dicevamo, dalle indiscrezioni di stampa anziché dal ministro dell’Economia, azionista di maggioranza della banca del Tesoro. Già, ma perché poi Pier Carlo Padoan avrebbe dovuto avvertirlo? Magari per amicizia. O semplice cortesia. Perché il ministro, del resto, non ne avrebbe avuto nemmeno la responsabilità formale: in base ai patti parasociali, oggi in via di cambiamento, la presidenza della Cassa spettava alle Fondazioni bancarie, titolari di quasi il 20 per cento. E sono appunto queste che hanno a suo tempo designato l’ex ministro della Funzione pubblica. Semmai, quindi, toccava a loro. Così ecco la prima delusione.
La decisione di dare il suo posto a Claudio Costamagna, ex manager di Goldman Sachs e attuale presidente della più grande impresa di costruzioni italiana, la Salini Impregilo, non è certo farina del sacco del numero uno dell’Acri (l’associazione che riunisce gli enti di origine bancaria) Giuseppe Guzzetti. Bensì di Palazzo Chigi. Resta il fatto che le Fondazioni si sono allineate alla scelta governativa. Suggeritore di Matteo Renzi, secondo i bene informati: l’ex amministratore delegato di Luxottica (gruppo del quale Costamagna è stato fino al 2012 consigliere di amministrazione) Andrea Guerra, già superconsigliere del premier, il quale stravede per lui al punto che l’avrebbe voluto al timone dell’Eni.
La chiave di volta magari si potrebbe trovare nelle varie partite che le Fondazioni hanno aperto con il governo, ma non per questo il colpo è stato meno doloroso.
Veniamo ora alla seconda delusione. I rapporti fra Bassanini e Renzi sono sempre stati più che buoni. Con il premier e i suoi ministri il presidente della Cassa depositi e prestiti non è mai stato avaro di consigli. Si dice che ne abbia dispensati soprattutto nella materia a lui più congeniale, la riforma della Pubblica amministrazione. Ed era forse pure questa una buona ragione per non attendersi come regalo del suo settantacinquesimo compleanno (Bassanini è del 9 maggio 1940) il licenziamento. Per giunta recapitato a mezzo stampa. Nonché in barba ai patti parasociali e con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza del consiglio di amministrazione, prevista per l’anno prossimo.
Perché tutta questa fretta, siamo propensi a credere che Renzi l’abbia spiegato all’ex presidente della Cassa nel colloquio che i due hanno avuto a cose ormai fatte, prima di offrirgli come parziale riparazione l’incarico (stavolta ufficiale) di consigliere speciale. Ma siamo altrettanto certi che Bassanini sia sufficientemente esperto da essersi fatto un’idea. Come in tutte le vicende di potere ammantate di un certo mistero c’è anche qui chi mette in giro le interpretazioni più strane e fantasiose: a cominciare dall’immancabile resa dei conti fra massonerie, per arrivare alla presunta avversione del presidente francese François Hollande nei confronti del finanziere Vincent Bolloré che sta inerpicandosi su Telecom Italia.
Impossibile sapere come siano nate certe voci assurde. Di sicuro però fra tante fesserie una cosa vera c’è, ed è l’ombra ingombrante di Telecom Italia. Un tema ancora più cruciale dopo che Renzi ha annunciato di voler puntare tutto sulla banda larga. Ma anche un tema sul quale i punti di vista di Bassanini e Guerra, argomenta sempre chi è informato dei fatti, forse non potrebbero essere più distanti.
Il primo è convinto che la Cassa depositi e prestiti, di fatto il soggetto con più liquidità nel Paese, debba tenersi a distanza di sicurezza dal capitale della compagnia telefonica. Tanto più essendo già impegnata nella partita della banda larga con Metroweb attraverso il Fondo strategico (direttamente controllato) e F2i (del quale è sponsor). Il secondo sarebbe invece persuaso che per realizzare quel piano l’ingresso nell’azionariato di Telecom Italia non possa essere un tabù invalicabile. Ancora qui i dietrologi si spingono a prefigurare lo sbarco al vertice della stessa Telecom dello stratega Guerra: ma come si possa conciliare questa ipotesi con il prossimo ventilato incarico ai vertici di Eataly che l’ex manager di Luxottica starebbe per assumere, è davvero arduo immaginare.
La morale di tutto questo? Da quando Telecom è stata privatizzata, a ogni cambio di governo scoppia una nuova battaglia per il suo controllo. Curioso come la storia in questo Paese si ripeta: sempre tutto diverso, ma sempre tutto uguale. Con i telefoni a scandirne il ritmo.