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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

È passato mezzo secolo da quando i Beatles vennero in concerto in Italia. Il 24 giugno 1965 erano al Vigorelli di Milano, il 26 al Palasport di Genova e sabato 27 e domenica 28 a Roma, al teatro Adriano. I biglietti costavano dalle mille all 7 mila lire. Ad aprire i concerti Peppino Di Capri e New Dada

È passato mezzo secolo da quando i Beatles vennero in concerto in Italia. Il 24 giugno 1965 erano al Vigorelli di Milano, il 26 al Palasport di Genova e sabato 27 e domenica 28 a Roma, al teatro Adriano, due show al giorno. Un paio d’anni prima il vostro cronista, che a quei tempi suonava con i Flippers, band che vendette qualcosa come 5 milioni di dischi, aveva liquidato la loro apparizione con uno sbrigativo «questi durano poco», ma appena il leggendario quartetto spopolò nel mondo cancellò la sua previsione. E così lui cambiò idea. Allora lavorava a Big, storico settimanale di musica che dedicò ai quattro di Liverpool pagine e pagine, compresi enormi poster con 100 foto di John, Paul, George e Ringo, che andarono letteralmente a ruba.
Furono due giornate epiche: piazza Cavour era affollata come non mai, i biglietti costavano da mille a 7 mila lire a seconda dei posti, e ai concerti aperti da Peppino di Capri e dai New Dada, vennero tutti, ma proprio tutti, dai ragazzi del Piper a Catherine Spaak, Gianni Minà, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Franco Califano, Rossella Como, Mita Medici, Red Ronnie. Purtroppo dopo il concerto buttammo il biglietto, senza pensare che ora sarebbe diventato un ricordo preziosissimo. Il concerto? Fu rapido, loro fecero tutti i loro hit, ma sia perché l’impianto di amplificazione era quello che si trovava all’epoca, sia perché il mare di ragazzine in sala gridava costantemente al massimo del volume, a conti fatti la musica si sentiva poco.
A parte i ricordi di quei giorni, il cronista pochi mesi prima se n’era andato a Londra dove in una sola giornata, in un momento in cui regnava la lotta fra Beatles e Rolling Stones (noi facevamo il tifo per i primi, e avevamo ragione) era riuscito a organizzare un doppio appuntamento, alle 12 con John Lennon e Paul McCarney nella sede della loro etichetta, la Apple, e alle 14 con Mick Jagger, nel palazzo dell’etichetta Decca.
L’INCONTRO
L’incontro con John e Paul fu delizioso. Eravamo come tre amici al bar, in una saletta dell’ufficio parlammo tranquillamente di Help, l’album di quell’anno, dell’omonimo film diretto da Richard Lester (pochi giorni fa è stato riproposto al Maxxi in una edizione completamente restaurata in digitale), del loro successo nel mondo, delle loro canzoni, delle performance in arrivo e così via. Chiedemmo addirittura se le ragazzine che urlavano come ossessi a ogni appuntamento erano scritturate da loro, e i due sorrisero con serenità e allargarono le spalle come a dire no, portarsele dietro sarebbe costato troppo. E probabilmente pensando «questo italiano è proprio scemo».
Fu comunque un vero piacere, al contrario dell’appuntamento con Jagger, strafottente al massimo fin dai primi istanti. Dopo una breve chiacchierata gli chiedemmo di fare qualche fotografia, ed essendo l’ufficio al buio qualcuno suggerì di andare sul tetto del palazzo. C’era il sole, rarità a Londra, Mick era tutto vestito di bianco e intorno a noi spuntavano tanti comignoli, con tubi che emergevano da abbaini. Gli chiedemmo di salire sui comignoli per avere come sfondo il cielo londinese e scattammo le foto, ma lui si sporcò tutto di fuliggine, s’incazzò come una bestia e ci mollò. Mesi dopo gli Stones vennero a Roma al Palasport, e ci sembrò giusto andare a salutarli nei camerini. «Ehi, Mick, how are you? Do you remember our meeting in London?», gli dicemmo. «Yes, I remember», disse con un sorriso crudele. Chiamò due della sorveglianza, gli disse «buttateli fuori a calci nel culo» e così avvenne. Ecco l’ennesima ragione per cui da mezzo secolo facciamo il tifo per John, Paul, George e Ringo.