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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

I papaveri d’Europa sono riuniti a Bruxelles per discutere della Grecia (e lasciamo perdere: le cose non vanno bene e si prenderà una qualche decisione lunedì prossimo) e per discutere dei migranti, cioè cosa farne, se distribuirli tra tutti o no, come eventualmente accoglierli, come respingerli

I papaveri d’Europa sono riuniti a Bruxelles per discutere della Grecia (e lasciamo perdere: le cose non vanno bene e si prenderà una qualche decisione lunedì prossimo) e per discutere dei migranti, cioè cosa farne, se distribuirli tra tutti o no, come eventualmente accoglierli, come respingerli. Temi su cui ognuno dei suddetti papaveri ha una sola certezza assoluta. Gli elettori non vogliono sentir parlare di strani tipi sporchi e dall’aria cattiva che arrivano chi sa da dove a creare casini. Quindi, più o meno per tutti, si tratta di costruire un muro sufficientemente ipocrita di parole per giustificare un bel “no”.

Per esempio?
Per esempio, la dichiarazione del presidente del Consiglio di turno, Donald Tusk, polacco, di destra. Tusk ha dato un parere sull’idea italo-greca di suddividere tra i paesi della Ue almeno 40 mila dei 200 mila migranti che sbarcano sulle coste dei due paesi: secondo lui i membri della Ue non possono essere costretti ad accettare i 40 mila migranti («niente obbligatorietà»), ma si può discutere di un’accettazione volontaria da parte di ciascun paese. «Però lo schema volontario non può essere una scusa per non fare nulla. Posso capire coloro che vogliono questo meccanismo volontario ma saranno credibili solo se forniranno precisi e significativi impegni per la fine di luglio al più tardi, poiché solidarietà senza sacrifici è pura ipocrisia. Ora non abbiamo bisogno di vuote dichiarazioni, ma solo di azioni e numeri». Capito? Così parla un politico.  

Io non ho capito niente.
Si tratta di un “non ne vogliamo sapere” in cravatta.  

• E Renzi?
L’ultima dichiarazione pervenuta è quasi trionfale. «Sono molto ottimista che l’Italia possa riuscire insieme a far sentire la propria voce». Non mi chieda il significato di quell’«insieme». Poi ha detto: «Se sarò soddisfatto o meno lo vedremo alla fine del vertice». Poi ancora: «Quello che credo sia importante è che finalmente questo tema non è più soltanto dell’Italia o del Mediterraneo, ma è un tema che riguarda davvero tutta l’Europa. Ora si tratta di vedere come sarà concluso l’accordo tra i Paesi membri e vediamo se possiamo essere soddisfatti alla fine. Fino a oggi è stato fatto un buon lavoro».  

• A dire il vero, leggendo la strana dichiarazione di Tusk, non sembrerebbe affatto esserci questo accordo sul fatto che «il tema riguarda davvero tutta l’Europa».
L’altro giorno è venuto a Milano Hollande, per via dell’Expo, ha incontrato Renzi, gli ha spiegato che loro non vogliono essere costretti a mettersi in casa neanche un migrante proveniente da Italia e Grecia (come dimostra la storia di Ventimiglia) «e però concordo che la questione migranti non può essere solo italiana, è una questione europea». In questo modo, Renzi ha creduto di poter vendere in patria un sostanziale accordo col presidente francese, mentre Hollande ha potuto dire ai suoi elettori: «Visto? Ho tenuto duro». Converrà, per capire l’aria che tira, stare ai fatti.  

E quali sono i fatti?
Prima di tutto che gli arrivi sono calati di colpo, perché s’è presa la saggia abitudine di distruggere i barconi rimorchiati in mare. I natanti disponibili sarebbero così calati di 400 unità, e i disperati dall’altra parte non sono più riusciti a partire. Almeno per il momento. Altro fatto, significativo dell’aria che tira, è che dopo il muro ungherese, c’è adesso un muro anglo-francese, in corso di costruzione a Calais con finanziamento britannico. L’altro giorno, in questa località, si sono viste scene da stringere il cuore: decine di camion erano fermi, bloccati da uno sciopero, e centinaia di siriani, afghani, libici cercavano di piazzarsi sotto gli assi o nello spazio tra la cabina e il rimorchio in modo da arrivare per questa via a Londra. Trecento poliziotti li tenevano a bada, ma quelli erano tremila e, magari al decimo tentativo, qualcuno di loro riusciva a sistemarsi, chiaramente a rischio della vita. Altro fatto è la decisione ungherese, presa dopo l’annuncio di un muro da 170 chilometri, di non voler più accettare nessuno, nemmeno i rifugiati politici. La decisione è stata poi malamente ritrattata, ma è chiaro che gli ungheresi terranno duro. Hanno detto: l’Ungheria ha finora applicato gli accordi di Dublino prendendo le impronte digitali e registrando tutti coloro che richiedono l’asilo politico, «ma basta guardare una cartina geografica per rendersi conto che un rifugiato dalla Siria o dall’Afghanistan che presenta domanda in Ungheria deve avere prima attraversato illegalmente almeno quattro Stati». La critica è rivolta ai Paesi già accusati in passato  di lasciare passare i migranti senza prendere loro le impronte digitali, in modo da non doversene poi far carico. Tra questi Paesi ci siamo prima di tutto noi: è chiaro che non possiamo essere presi sul serio, quando chiediamo qualcosa, se fino a quel momento non ci siamo comportati seriamente.