Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 25 Giovedì calendario

I contratti degli statali non si potranno più congelare, così com’è accaduto dal 2010 in poi (governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi)

I contratti degli statali non si potranno più congelare, così com’è accaduto dal 2010 in poi (governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi). E però lo Stato non sarà nemmeno obbligato a risarcire i dipendenti pubblici per questo lungo periodo di buste paga ferme: la Corte costituzionale, chiamata in causa da uno dei tanti sindacati dei dipendenti pubblici (il Confsal-Unsa), dopo un paio di giorni di discussione ha stabilito infatti che «è illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi della Pubblica amministrazione, ma non per il passato».

Buffo. Mica lo capisco. O è legittimo o è illegittimo. Secondo me si sono spaventati, dopo il casino scoppiato l’altra volta, quando hanno detto che i soldi tolti dai governi alle pensioni andavano restituiti.
Può darsi. Gli avvocati difensori dello Stato (la cosiddetta Avvocatura) avevano sbandierato davanti ai giudici, magari esagerando, conti da brivido. Secondo loro, se la Corte avesse sentenziato che il congelamento era illegittimo e quindi gli statali andavano risarciti, lo Stato avrebbe dovuto tirar fuori 35 miliardi di euro. E dove si trovano, in un momento come questo, 35 miliardi di euro? Sarebbe stato facile, se fosse stata emessa una sentenza simile, confermarsi nell’idea che la Corte, come gli altri giudici italiani, detesta Renzi che gli vuol tagliare le vacanze. Si sarebbe potuto gridare. «Sentenza politica! Scandalo!». Esattamente come l’altra volta.  

Non è una sentenza politica?
Forse no. Non ne conosciamo ancora le motivazioni, ma probabilmente i giudici hanno accettato il ragionamento dell’Avvocatura, che invitava la suprema Corte a tener conto dell’impatto economico di un’eventuale sentenza sfavorevole: «Di tali effetti (i 35 miliardi, ndr) non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale che ha riscritto l’art. 81 della Costituzione, a partire dalla disposizione del nuovo comma 1, secondo il quale lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». L’articolo 81 è quello che ci obbliga al pareggio di bilancio, secondo disposizioni che arrivano direttamente dall’Europa. Avversatissimo dalla sinistra, e in genere mal digerito dai partiti, perché limita la loro capacità di comprarsi il consenso.  

Giusto. Ma perché questo stesso ragionamento non è stato fatto per i tagli alle pensioni? L’obbligo dell’equilibrio, e relativo dovere del pareggio, non era una ragione sufficiente per tagliare anche le pensioni?
Sì, potrebbe esserci una contraddizione, solo che nella sentenza relativa alle pensioni non si trattava di una bocciatura del taglio in sé, ma di una bocciatura della sterilizzazione decisa da Monti nel 2011 (niente più adeguamenti Istat per certe pensioni da un determinato livello in su). Quella sterilizzazione secondo i giudici era fonte di sperequazioni e ingiustizie. Forse non siamo sullo stesso piano della sentenza di ieri, ma è certo che quella sentenza ha provocato un dibattito furibondo tra gli stessi studiosi (per dire: Cassese contro, Zagrebelsky a favore). D’altra parte la Corte aveva già giudicato legittimi i congelamenti in una sentenza del 2013: «Il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica implicano sacrifici gravosi che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica».  

Perché ha detto che i 35 miliardi sono forse un’esagerazione?
Altri calcoli, piuttosto credibili, avevano valutato l’impatto reale di una sentenza sfavorevole in appena 650 milioni. A parte altre considerazioni, gli anni a cui facevano riferimento i ricorrenti erano infatti solo gli ultimi due (2014-2015) e la valutazione su quanto avrebbero potuto ottenere di aumento gli statali in questo biennio doveva ritenersi, dati i tempi, molto inferiore al passato. Diciamo che l’Avvocatura ha spinto sui numeri e la Corte ha scelto di crederle. Questo è forse l’aspetto davvero politico della vicenda.  

Che succederà adesso?
Ascoltiamo Massimo Battaglia, segretario generale del sindacato che ha presentato il ricorso: «Stiamo aspettando l’ufficialità, ma è questione di tempo. La Corte ha cancellato un’ingiustizia nei confronti dei lavoratori pubblici. È una piccola vittoria, ma per noi è anche un momento di commozione. I giudici  hanno riconosciuto che l’eccezionalità ha un termine e questo termine finisce adesso. Di certo non manderemo in rovina i conti dello Stato». Il rinnovo non dovrebbe costare, strutturalmente, più di 300 milioni per il 2015, e più di 900 milioni per il 2016. Non so se è davvero poco. In ogni caso, Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil, ha dettato alle agenzie: «Il governo non perda tempo, ci convochi subito per il rinnovo dei contratti».