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 2015  giugno 23 Martedì calendario

Il Papa chiede scusa ai valdesi per «i comportamenti non cristiani e non umani della Chiesa». Sono passati 841 anni da quando il mercante Valdo fondò il movimento dei «poveri di Lione», i pauperisti che da cristiani laici predicavano il Vangelo in lingua volgare e furono per questo accusati di eresia nel 1184 da Papa Lucio III e scomunicati, il resto sono secoli di dolore, stragi e persecuzioni. Ecco cosa accade...

L’ultima parola è di una donna, Alessandra Trotta leva le mani al cielo per «la preghiera di benedizione di San Paolo ai Colossesi» e il Papa si alza assieme ai valdesi e a tutti i fedeli mentre la pastora metodista sillaba: «La pace di Cristo regni nei vostri cuori... e siate riconoscenti». 
Ci sono momenti che segnano la storia. Sono passati 841 anni da quando il mercante Valdo fondò il movimento dei «poveri di Lione», i pauperisti che da cristiani laici predicavano il Vangelo in lingua volgare e furono per questo accusati di eresia nel 1184 da Papa Lucio III e scomunicati, il resto sono secoli di dolore e stragi, persecuzioni ripetute dopo l’adesione alla Riforma calvinista, ghetti nelle valli subalpine. Alle 9 del mattino Francesco è il primo Pontefice ad entrare in un Tempio dei valdesi, lo costruirono a Torino dopo che Carlo Alberto nel 1848 riconobbe loro i diritti civili. Applausi, abbracci, baci arriveranno alla fine, come il Padre Nostro recitato insieme. 
Ma è in un silenzio perfetto, mentre si vedono sguardi intenti e occhi lucidi, che Francesco mormora tra le architetture spoglie: «Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». Il canto in spagnolo che lo accoglie è quello che i valdesi rifugiati nel Rio de la Plata ricavarono dall’Ecclesiaste, «insegnami a vivere l’oggi / così che domani non mi debba rimproverare il passato». 
Il pastore Paolo Ribet è emozionato, «leggo, che è meglio», e sillaba: «Mi sono più volte interrogato su quale fosse il modo corretto di rivolgermi a lei e ho trovato la risposta nella parola che il Signore Gesù Cristo ci ha insegnato per designare i suoi discepoli: fratello. Ecco. Caro fratello Francesco…». 
Lo saluta così anche Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese: «Caro papa Francesco, caro fratello in Cristo… Lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa». 
Francesco è anche il primo Papa ad essere invitato. L’«affinità» tra Valdo e Francesco d’Assisi, spiegano. E poi le parole del pontefice, l’idea di unità come «diversità riconciliata». L’assemblea si scioglie in una risata quando il pastore cita Francesco: «L’unità dei cristiani non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche. Verrà il Figlio dell’Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni». 
Bernardini chiede due cose: «superare» la definizione del Concilio che definisce i valdesi «comunità ecclesiale» e non chiesa, e la «ospitalità eucaristica», poter fare la comunione assieme. A Pinerolo cattolici e valdesi si sono donati pane e vino per la pasqua, Francesco parla di un gesto che «fa pregustare, per certi versi, quell’unità della mensa cui aneliamo». Del resto «l’unità si fa in cammino», spiega: «testimoniare il volto misericordioso di Dio nella cura dei poveri, gli ultimi, coloro che la società esclude». 
Il pastore parla in favore dei «profughi che bussano alla nostra porta», Francesco lo ringrazia. Prima di tornare a Roma, il Papa incontrerà per venti minuti un gruppo di rifugiati africani. Ora, dice ai valdesi, nonostante «le differenze su importanti questioni antropologiche ed etiche» si tratta di camminare insieme: «Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri».

Gian Guido Vecchi

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Martedì 23 Giugno, 2015CORRIERE DELLA SERA© RIPRODUZIONE RISERVATA
Villaggi incendiati, stragi, torture Una persecuzione durata secoli 1 2 3 Francesco chiede perdono a Valdo: si può forse dire così, per nomi e simboli, quanto è avvenuto ieri nel Tempio valdese di Torino, dove papa Bergoglio ha pronunciato un «mea culpa» inedito, che mai era stato formulato neanche da papa Wojtyla, che fu maestro di richieste di perdono e che andò quattro volte pellegrino a Torino e nel suo territorio.
Valdo (1140-1206 circa), iniziatore del movimento ereticale che poi dà luogo alla Chiesa valdese, è un contemporaneo di Francesco d’Assisi (1181 -1226): ambedue professano la povertà evangelica e la predicazione itinerante. Ma Francesco resta nella Chiesa di Roma mentre Valdo ne viene cacciato e oggi un Papa di nome Francesco chiede scusa ai suoi discepoli. Chiede cioè perdono per una persecuzione durata secoli e condotta con metodi — ha detto il Papa — «non cristiani, persino non umani».
Villaggi incendiati, stragi collettive, imprigionamenti, deportazioni, conversioni forzate, tortura e roghi fanno parte di quei metodi. Infine la chiusura nel ghetto delle Valli Valdesi. Metodi posti in atto da re e imperatori, ma comandati da Papi e da Congregazioni romane.
La prima condanna è emanata da Papa Lucio III nel 1184: i Valdesi, che allora erano detti «Poveri di Lione», vengono colpiti da «anatema perpetuo». Poco dopo la morte di Valdo, sarà la Crociata contro gli Albigesi a coinvolgere massivamente i seguaci di Valdo che intanto si sono diffusi dalla Francia meridionale verso l’Italia. Nel 1215 arriva la condanna definitiva, per eresia, dal Concilio Lateranense IV. Le condanne al rogo erano pronunciate «per valdesia». I sopravvissuti nel 1532 aderiscono alla Riforma di Calvino e da allora costituiscono una Chiesa riformata evangelica. Dopo l’adesione alla Riforma svizzera realizzano la prima traduzione della Bibbia in francese, che era la lingua parlata nelle Valli: ieri hanno donato al Papa una riproduzione della prima edizione di quella Bibbia.
Mentre successive spedizioni militari annientano le comunità valdesi della Francia e della Calabria (dove gruppi provenienti dalle Valli si erano diffusi a partire dal 1215), una guerriglia contadina costringe i Savoia a concedere una parziale libertà di culto ai valdesi delle tre Valli delle Alpi Cozie dove si trovavano i loro maggiori insediamenti: Pellice, Angrogna e Germanasca (Accordo di Cavour, 1561).
Ma da Roma premono per una soluzione finale e dopo un secolo di tolleranza, un’offensiva condotta da Vittorio Amedeo II dà luogo a un vasto massacro che costringe i superstiti a fuggire in Svizzera, da cui torneranno nel 1688. La vera libertà arriva nel 1848 con le Lettere Patenti di Carlo Alberto che riconosce ai Valdesi i diritti civili.
L’avversione della Chiesa Cattolica ai Valdesi resta tenace anche dopo quel riconoscimento. Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, non perdonò mai ai Savoia le Lettere Patenti e nella sua polemica con autori valdesi usa espressioni di estrema violenza: «Intelletto oscurato», «cuore indurito», «uomo in delirio che parla».
Il mea culpa di Francesco presenta una singolarità rispetto a quelli che Giovanni Paolo II aveva rivolto in più occasioni a Luterani, Calvinisti, Ugonotti: in quei casi si trattava della grande Riforma protestante, mentre con i Valdesi Francesco si rapporta alla «prima Riforma», cioè ai movimenti ereticali del Medioevo.
È la seconda volta che papa Bergoglio riconosce un torto ecumenico compiuto dalla Chiesa di Roma: l’aveva già fatto con i Pentecostali il 28 luglio dell’anno scorso, durante una «visita privata» a una loro comunità di Caserta. In ambedue i casi si tratta di comunità minori del mondo protestante, delle quali nessun Papa fino a Francesco aveva avuto occasione di occuparsi se non per combatterle.
Luigi Accattoli