la Repubblica, 18 giugno 2015
La lectio magistralis di Umberto Eco sugli effetti negativi di Internet è stato riportato da quasi tutti i media (anche quelli “classici”) con una sinteticità chiassosa e sbrigativa, degna di Twitter. E questa è in un certo senso una prova a favore della tesi di Eco
Il fatto che una lectio magistralis di Umberto Eco sugli effetti negativi di Internet (e su diverse altre cose) sia stato riportato da quasi tutti i media (anche quelli “classici”) con una sinteticità chiassosa e sbrigativa, degna di Twitter, è in un certo senso una prova a favore della tesi di Eco. Per contagio, tutta la nostra maniera di comunicare è velocizzata e impoverita dalla pratica del web e specialmente dei social network: così che soprattutto una delle parole usate da Eco – “imbecilli” – ha spopolato, e il resto del discorso vale solo per chi abbia avuto la pazienza e il tempo di andarselo a leggere (su Internet). Suggerisco anche di leggere, come documento complementare alle opinioni di Eco, i commenti di ieri, su siti e giornali on line di ogni ordine e grado, all’incidente d’auto occorso al calciatore juventino Vidal. La media delle parole meditate e dei giudizi congrui è uno su cento, a voler essere molto generosi. E basterebbero i nickname da esibizione scelti da ciascun commentatore, quasi sempre grotteschi o sbracati o puerili, per capire che si tratta di persone che non avendo rispetto di se stessi non sono in grado di averne per alcuno. Quanto al solo commento (su cento) che varrebbe la pena leggere, è necessario, per trovarlo, leggere anche gli altri novantanove. È esattamente questo problema – la mancata selezione – che Eco ha inteso segnalare.