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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Gianni Letta presenta la biografia di Maria Angiolillo scritta da Bruno Vespa e la stronca. Il mondo si è rovesciato. È il capolavoro del renzismo che mischia le carte

Chi c’era, giura di esserci rimasto di stucco: Gianni Letta che, chiamato a presentare la biografia di Maria Angiolillo firmata da Bruno Vespa e Candida Morvillo, prende la parola e la fa a pezzi. Non letterariamente ma, peggio, scientificamente, con puntiglio filologico. Letta, a cui Renato Angiolillo affidò il Tempo e che dal salotto di Maria si è fatto strada nel mondo, non stava solo stroncando un libro, con l’albagia un po’ cerimoniosa con cui ha officiato per anni i riti del potere in quanto camerlengo di B.: stava scolpendo con precisione da incisore la fine di un’epoca.
Se il berlusconismo legava e escludeva, cooptava e accoglieva, il renzismo fa saltare alleanze, crea nuove sintonie, agita i fissi stereotipi. Se Verdini che smette la faccia da macellaio forzista e sottoscrive (o ispira) le riforme della Boschi non fa impressione – perché Verdini è sempre stato renziano, dai tempi in cui il bambino prodigio si candidava a guidare la Provincia e poi la città di Firenze – c’è tutto un sottobosco di risorse umane che si mettono a disposizione del nuovo fulcro del potere, quel giglio magico tanto negato, perciò presumibilmente così influente, di cui Renzi è il pistillo. Non è stato il patto del Nazareno a far deflagrare i vecchi rapporti di potere, ma, paradossalmente, proprio la sua rottura.
Liberando risorse e sciogliendo cani legati, ha rimescolato le carte, e da allora pure i primi endorsatori di Renzi, come Della Valle, hanno provato ad essere antirenziani prima, e sono finiti tristi silenziati poi.
Così a colpire non sono tanto le salite sul carro, fenomeno noto e fisiologico nella Repubblica dei trasformismi, come quelle di Gennaro Migliore da Sel e Andrea Romano da Scelta Civica; ma il fatto che le frattaglie di questi e altri partiti – Sc e Ncd specialmente, con ministri e deputati che superano in quantità il numero degli elettori – si siano trasformate in una specie di dépendance del governo e del Pd renzista, e non si capisce chi rappresentino se non la ostinata volontà di auto-perpetuarsi dei loro componenti.
È proprio un bacino di teste, e di sponde e prossimità, quello che si sta creando ai piedi di questo Lorenzo il Magnifico del Rinascimento narrato, affiancato dall’opaco Marco Carrai nei panni di Pico della Mirandola e dal sottosegretario Luca Lotti in quelli di un proporzionale Agnolo Poliziano con rubrichetta sul Foglio.
E a proposito: sui vecchi organi berlusconiani ecco questo e quello, noti servi di Arcore e marpioni dell’arricchimento palazzinaro e dei paradisi fiscali, ripetere a pappagallo la favola della ripresa e dell’ottimismo e fare l’elogio dell’“almeno lui qualcosa fa”, come se a noi piacessero quelli che non fanno.
Lui è Matteo, che muovendosi con la sua corte tra Firenze-Arezzo e la Roma dei salotti e delle aziende partecipate ha messo a soqquadro l’ancien régime, colpendolo da dietro di cattiveria, e instaurando un nuovo feudalesimo, poco fatto di familismo (a parte il dettaglio del decreto a vantaggio delle Banche Popolari tra cui la Etruria di cui il padre della Boschi è vicepresidente), e tanto di un animo ancora velato che ha fatto parlare di “stantio odore di massoneria” uno come De Bortoli. Certo ci si domanda come mai a favore dei balzani Jobs Act, Buona scuola e Sblocca Italia si schierino non i lavoratori, gli insegnanti e i piccoli imprenditori a cui sarebbero destinati, ma i membri di quei poteri che un tempo erano forti e oggi per campare sono ridotti a dir bene di un pallone gonfiato.
Quindi Gianni Letta che castiga Vespa. Non che il giornalista, artigiano sopraffino della doratura del potere a chiunque esso appartenga, sia diventato renzista e Letta no, e manco il contrario (hai visto mai); è che il flusso del potere non segue più le note traiettorie ma un percorso nuovo, un arabesco di cui un’attendibile allegoria erano i ghirigori sulle partecipazioni del matrimonio di Marco Carrai.
Infatti la cosmogonia del renzismo non inizia con la rottamazione, che prima di rivelarsi come manovra bruta da sfasciacarrozze aveva qualcosa di ribelle e anticastale, ma con la presa arbitraria del potere e l’inizio di un nuovo racconto.
Un tempo si sapeva tutto: che dall’incenso della Dc, dalla naftalina di Andreotti, dagli stivali di Craxi discendeva un mondo uovo, che nelle fortune di B. trovò forma e grazia. Il resto era prateria e sconfitta, per colpa della sinistra masochista che oggi Renzi deride con studiato sadismo. Oggi non si sa più nulla, o meglio tutto si sa: ma per prudenza o forse per quel profumo indefinibile che il nuovo potere si porta appresso, tutto si tace.