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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Adriano Panatta al veleno: «Qui a Parigi vengo sempre accolto con riconoscenza, a Wimbledon ci sono i club, da noi invece niente di niente. Ma non lo fanno solo con me, lo fanno con tutti. Ribadisco: se anche mi invitano l’anno prossimo a Roma non ci vado»

Adriano Panatta è in forma smagliante: abbronzato, sorridente, piacione come solo lui sa essere, sereno, molto lontano dai 65 anni che compirà il prossimo 9 luglio. Sarà che è nel suo regno, Parigi, qui dove nel 1976 completò l’ambo Roma-Roland Garros prima di vincere la Coppa Davis con gli azzurri, sarà che semplicemente è fatto così.
Oggi commenta il tennis per Eurosport (dai quarti di finale sui canali 210 e 211 di Sky e su Mediaset Premium al 384 e 385) e si racconta con la stessa determinazione che aveva in campo.
Adriano buongiorno, quasi 40 anni fa vinceva Parigi. Una cosa da niente...
«Ho un ricordo bellissimo. Parigi è il torneo più duro in assoluto e lo era soprattutto ai miei tempi: Roma si giocava la settimana prima, arrivai da vincitore ma stanco».
E infatti al primo turno rischiò moltissimo...
«Salvai un match point contro il cecoslovacco Hutka. Pensi che l’ho incontrato in aeroporto, sembra uno scherzo del destino».
Ci racconti il match point.
«Io scendo a rete, lui fa pallonetto, io una veronica, lui un passante, io mi tuffo e faccio punto».
Facilissimo...
«Mi è riuscito...».
Oggi il tennis è molto più fisico, non ci si può permettere di arrivare «stanchi».
«È decisamente tutto molto più veloce, ma non solo nel tennis. Prendiamo il calcio: l’Empoli di oggi è più veloce dell’Olanda di Cruijff».
La morte del romanticismo insomma...
«Beh, la fantasia conta meno, il talento pure, non c’è tempo per pensare, si gioca d’istinto, “a specchio”. Poi per fortuna ci sono le eccezioni...».
Per esempio?
«Federer, ovviamente. Lui è il tennis, non l’ha cambiato. Nadal e Djokovic l’hanno cambiato, sono forti, ma Roger è completo».
Torniamo alle sue vittorie: l’anno prossimo saranno 40 anni dal trionfo. È pronto per le celebrazioni?
«Dubito che organizzeranno qualcosa e, le dirò, francamente non mi interessa. Se vorrò andare sui campi pagherò il biglietto...».
Beh, dovesse andare così sarebbe un vero peccato, non crede?
«Perché lo chiede a me? È un fatto di cultura, da noi manca. Qui a Parigi vengo sempre accolto con riconoscenza, a Wimbledon ci sono i club, da noi invece niente di niente. Ma non lo fanno solo con me, lo fanno con tutti. Ribadisco: se anche mi invitano l’anno prossimo a Roma non ci vado. Non mi piace stare vicino “fisicamente” a “qualcuno”...».
Nella polemica tra il presidente della Fit Binaghi e il Comune di Roma sulla scarsa disponibilità delle istituzioni, lei da che parte sta?
«Conosco il Comune di Roma ma l’altro nome non mi dice niente...».
Chiarissimo, meglio parlare di tennis. Qui siamo nel suo regno, l’erba invece non l’ha mai digerita.
«No, non l’ho mai capita. Oggi forse sarebbe più facile, si gioca da fondo campo, per noi era impossibile».
Oggi è commentatore per Eurosport, le piace giudicare gli altri?
«Beh, sono uno che se vede una puttanata la dice, non faccio finta di niente».
Cominciò con Galeazzi...
«Bellissima esperienza, ma mi trovo benissimo anche con Gianni (Ocleppo ndr): è competente, mi segue...».
Federer si è lamentato per la mancanza di sicurezza dopo che un bambino è entrato in campo.
«Il divismo impera. Noi stavamo in mezzo alla gente, ora si rifugiano negli spogliatoi. Per chiedere un’intervista devi chiedere a fracazzodivelletri, noi parlavamo con tutti».
La domanda su Fognini è obbligatoria: riuscirà a fare il salto di qualità?
«Gioca molto bene a tennis, certo ha dei limiti caratteriali. Io saprei come farlo rendere al meglio: gli darei una cassetta di Agassi e gli direi “fai come lui”. Deve giocare dentro al campo, è un tennis più difficile ma lui lo può fare».
Chi vince quest’anno a Parigi?
«Djokovic. Se non lo vince stavolta non lo vince più».
Un Panatta coach come lo vede?
«Non lo vedo, i coach sono “maggiordomi”, devono stare dietro al giocatore tutto l’anno. In ogni caso non credo ai giocatori “pipponi” che diventano coach: devi insegnare tennis anche ai più bravi al mondo».
Una donna può essere coach di un uomo?
«Le donne fanno un altro sport, giocano tutte uguali. La Schiavone qui ha vinto perché l’ha buttata in caciara, ha tolto i riferimenti alle avversarie che ormai sono tutte noiose».
Si rivede in qualche giocatore?
«Io? In uno di questi? No, giocano in maniera troppo diversa. E poi con le nostre racchette certe cose erano impossibili...».