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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

La Corte d’appello di Perugia ha ridotto a 20 anni la pena di Salvatore Parolisi per l’omicidio della moglie Melania Rea: esclusa l’aggravante della crudeltà. Ma quindi 35 coltellate che cosa sono?

I giudici della Corte d’appello di Perugia hanno ridotto a 20 anni la pena per Salvatore Parolisi, accogliendo la richiesta della Cassazione che a febbraio, confermando la condanna, aveva però escluso l’aggravante della crudeltà. In secondo grado Parolisi era stato condannato a 30 anni per aver ucciso con 35 coltellate la moglie Melania Rea, il 18 aprile 2011. Nelle motivazioni – era il settembre 2013 – i giudici scrissero che il caporal maggiore Parolisi aveva ucciso «d’impeto» e «con 35 coltellate sferrate disordinatamente senza una pianificazione operativa, uno sfogo rabbioso e sintomatico del profondo coinvolgimento emotivo dell’agente, ma anche della sua superiorità fisica e della capacità di aggressione, da riconoscere a un istruttore dell’esercito, un militare addestrato». Con Parolisi e la moglie, quel pomeriggio a Colle San Marco vicino Ascoli Piceno, c’era la figlia Vittoria di 18 mesi. Ora la difesa di Parolisi esprime soddisfazione per la riduzione della pena, del resto obbligata dopo che la Cassazione aveva cancellato l’aggravante di crudeltà, anche se puntava a un doppio sconto con la concessione delle attenuanti generiche, che invece sono state respinte.
Questi i fatti di una vicenda che processualmente può considerarsi chiusa, salvo l’intenzione degli stessi avvocati di Parolisi di appellarsi alla corte europea dei diritti umani. Su questo o sulla solidità dei gravi indizi dedotti dall’accusa non abbiamo nulla da dire, ci piacerebbe invece capire la motivazione per la quale la Cassazione ha escluso l’aggravante di crudeltà. Testualmente, è questa: «La mera reiterazione dei colpi», anche se «consistente», non può costituire «fonte di aggravamento di pena». Se un assassino uccide con un colpo di grazia, preciso e letale, non è più crudele di Parolisi che con «uno sfogo rabbioso» ha inferto 35 coltellate «sferrate disordinatamente». La «reiterazione», cioè la ripetizione dei colpi, nelle parole dei giudici di Cassazione, era «mera», quasi un meccanismo impazzito, senz’alcuna passione crudele a attivarlo.
Ci permettiamo di obiettare che i fatti di giustizia, le pene e le condanne, e le loro motivazioni, non dovrebbero essere troppo distanti dal senso comune. Una giustizia che abbia suoi meccanismi esoterici, per quanto giustificati dalla dottrina, rischia di apparire all’uomo della strada un po’ bizzarra. In altre parole: di fronte all’esclusione dell’aggravante di crudeltà restiamo altrettanto perplessi che se la corte d’Appello, ieri, avesse accettato le attenuanti generiche invece di respingerle. Stabilire che un assassino che uccide la moglie, e madre della figlia di 18 mesi, con 35 coltellate, non merita le attenuanti generiche, ci appare una decisione di buon senso; stabilire che non ha agito con crudeltà, no. E, in questo caso, ci appaiono anche due decisioni contraddittorie.
Naturalmente si dirà che la parola crudeltà, in tribunale, come aggravante, non ha lo stesso significato di uso corrente. Perché nel mondo extragiudiziario chi si macchia di un delitto come quello di Parolisi è ovviamente crudele, altrimenti non sarebbe incorso in quello «sfogo rabbioso». Ma sotto il profilo penale, non si ragiona come l’uomo della strada, si fanno sottili distinzioni, e forse troppo sottili. Trentacinque, se si fa il conto a voce alta, sono un bel numero. Sicuri che dare altrettante coltellate sia «mera reiterazione», meccanismo fuori controllo, e non sadico gusto omicida? Qualcosa di persino più forte, e grave, della crudeltà? Senza contare il sospetto che possa essere stato lo stesso Parolisi ad aver deturpato il cadavere per depistare le indagini, con quella siringa infilzata nel petto e il laccio emostatico per collocare il delitto nell’ambiente dei tossicodipendenti. Se tutto questo non è crudele, cosa lo è?