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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Un giorno con Uberpop: «Io, autista a 65 anni ora perderò il lavoro, i cittadini un servizio vero». A bordo dell’auto di Domenico Innamorato, pensionato. «Questa è una grande opportunità di progresso». I tassisti lo inseguono, ma lui continua a viaggiare per sei euro a corsa. Anche se ha paura che tutto finisca

Forse uberisti, o uberali, si nasce, non si diventa. Se poi sei Pop coi giorni contati. «È il lavoro più bello del mondo. Anche etico. È una scelta di libertà incredibile: per il cliente, e per te che lo fai. Tra due settimane queste lucine – indica il display del cellulare – potrebbero spegnersi. O magari no, chissà. Ieri avevo dei ragazzi francesi. Mi chiedono: “Può alzare la musica a manetta?”. Lo faccio, anche se alla mia età mi costa una certa fatica. E loro: “Che bell’impianto che hai...”. Per la corsa hanno speso 6 euro, di birre credo un po’ di più. Ma con me stavano al sicuro». Non sono passati nemmeno cinque minuti da quando ha caricato il cronista sulla Citroen C1 nuova e tirata a lucido che Domenico è già convincente. Per la corposa aneddotica. Per le motivazioni. Per i numeri che snocciola («amo la statistica»). Domenico Innamorato, 65 anni, driver di Uber Pop, rating personale di 4.84 punti (il massimo è 5) e cioè uno degli autisti low cost più graditi in città (la valutazione la esprimono i clienti sulla app alla fine di ogni corsa). «Sono figlio di emigrati pugliesi in Francia, fino a 13 anni ha vissuto ad Argentine, in Savoia». Poi il ritorno in Italia, a Milano da mezzo secolo. «Sono andato in pensione nel 2007 con la qualifica di dirigente. Lo dico subito: non ho scelto questo lavoro per fame ma perché mi sembrava un’ottima opportunità. Democratica, di progresso». Nella sua prima vita Domenico fa il meccanico di motociclette a Gioia del Colle, a 27 anni guida l’esercizio provvisorio di un’azienda di 500 dipendenti (la AC-FA di Settimo Milanese, una delle tre ditte in curriculum). Si specializza in informatica («realizzazione di app», guarda il caso) che è sempre stato il suo pallino. «Il primo incontro con Uber, maggio 2014. In corso Monforte incrocio la manifestazione dei tassisti in rivolta anti-Uber». Sono gli stessi tassisti che adesso lo seguono e fotografano la targa della sua utilitaria e inviano alla polizia municipale. «Scene surreali, tipo caccia all’uomo. Carichi il cliente e loro si appostano per farti la foto». Stiamo a quel maggio di un anno fa. «Leggo dell’arrivo di Uber Pop sui giornali. Capisco le potenzialità. Mi iscrivo al sito facendo tutto: scelgo la città (abita in un paese a 20 chilometri da Milano sulla strada per Novara), scansiono carta d’identità, patente, assicurazione, allego il certificato del casellario giudiziario e dei carichi pendenti. Costo dell’iscrizione a Uber Pop? 40 euro di bolli, stop». Volendo in dieci giorni fai tutto. Domenico la prende in modo più blando, senza fretta. «La prima corsa la faccio il 4 luglio 2014. Mi chiama una ragazza. Sette clienti su dieci sono donne. La prendo in via San Vittore e la porto in centro. Cinque euro. Poi più niente». Il display dell’iphone inizia a lampeggiare: appare la cartina di Milano con evidenziate le zone di maggior richiesta. Colori dal giallo al rosso scuro. «Tra 13 minuti dovrei essere in via Azzo Carbonera... Sono l’autista più vicino». Già occupato. Lo è, racconta, sei giorni su sette, ogni sera dalle 19 alle 24. La media lavorativa. «Fatturo 50 euro a sera. Dal 4 luglio a oggi ho fatturato 12.509 euro per 2064 corse». Il prezzo medio di una corsa? «Sei euro. Ma i primi tempi mi si scaricava il telefono aspettando una chiamata». Ha ingranato nei mesi. Ha lasciato in garage la Mercedes e comprato la Citroen C1. «Tabelle Aci: la Mercedes ti costa 0,65 centesimi/km, la Citroen C1 0,35: per stare dietro alle tariffe Uber Pop (tariffa minima 5 euro, 0,35 ogni km di corsa, 0,20 per ogni minuto, 20% la percentuale trattenuta dalla società su ogni corsa) devi tarare anche l’auto». Da’ ancora i numeri Domenico mentre al volante dell’utilitaria cerca di dribblare il traffico milanese. «Il 95 per cento dei miei clienti prenderebbe il taxi solo in caso, diciamo così, di disperazione». Perché? «L’ho chiesto a un cliente americano. Pensi: mi ha detto che il costo è solo il quarto fattore decisivo in ordine di importanza. Prima vengono: il punto di partenza della corsa, che dev’essere preciso dove tu chiami l’auto. Poi il costo della corsa in partenza: con noi è 0, coi taxi parti anche da 7 euro e questa cosa fa incazzare la gente. Infine come vieni accolto e la pulizia dell’auto». Niente da dire su Domenico, rating fedele allo standard. «Se mi fermano i vigili dico al cliente di dire che siamo amici, è ovvio». Siamo all’altezza di Porta Romana. Lo sa, vero, che la festa potrebbe finire presto? «Certo. Spero non succeda. Se ci spengono cancellano un lavoro stupendo. E un servizio, vero, per il cittadino».