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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Viaggio nel mondo di UberPop. I tassisti fai-da-te al lavoro per altri 15 giorni dopo il blocco del Tribunale di Milano per concorrenza sleale. Per diventare autisti bastano patente e auto. Ma quanti sono? Top secret, come i bilanci aziendali

All’indomani dell’ordinanza del Tribunale di Milano che blocca i servizi, l’applicazione e il sito Internet di Uber per «concorrenza sleale» nei confronti dei taxi, gli autisti della app sono stati avvisati via email. «Continuate come prima per 15 giorni». Poi si vedrà, sulla base del reclamo. Intanto ieri sono emersi nuovi dettagli sulla vicenda. L’11 maggio – giorno dell’udienza del Tribunale civile di Milano che ha poi portato il giudice Claudio Marangoni allo stop di Uber – sulla schermata della app «incriminata», il nome UberPop, per qualche minuto, è apparso come UberX, vale a dire il suo omologo internazionale. Fatto depositato agli atti, trattasi di un semplice bug informatico o di una tentata piroetta dell’ultima ora per mischiare le carte?
In questa storia di auto, app e tribunali, i nomi sono importanti. Uber, infatti, indica un insieme di servizi, oggi in Italia consolidato su tre fronti: UberBlack (rivolto agli autisti con autorizzazione Ncc – noleggio con conducente), UberVan (anch’esso per gli Ncc ma con furgoncini) e UberPop, che invece permette a chiunque abbia almeno 21 anni, una patente valida e un’auto con meno di dieci anni di trasportare altre persone senza bisogno di autorizzazioni o licenze. Dal canto loro, i clienti si iscrivono alla app, registrano la carta di credito, e vedono comparire sul telefono le vetture più vicine: Black, Pop e Van. Cliccata l’auto, la si vede muoversi sulla mappa. Nel caso di UberPop, gli autisti invitano a sedersi davanti e a non farsi notare. In sostanza, con UberPop, chiunque può fare il driver. Ma se i vigili lo fermano e contestano la violazione degli articoli 85 e 86 del codice stradale (taxi o Ncc abusivi), Uber non ne risponde. Responsabile è solo l’autista, che rischia la confisca della vettura, la sospensione della patente e multe fin’oltre i 7 mila euro. L’ordinanza emessa in via cautelare, tuttavia, si riferisce solo a UberPop: accoglie il ricorso d’urgenza dei tassisti e obbliga la app a fermare sito e servizi (con multe di 20mila euro al giorno in caso di inadempienza).
Ma ciò non significa che UberBlack sia un servizio consentito. Lo è finché non infrange le regole che separano gli Ncc dai taxi. Per l’attuale (contestata) normativa (la 21 del 1992), le differenze tra i due servizi consentiti sono l’uso di un tassametro (non previsto per gli Ncc) e l’obbligo di stazionamento e prenotazione in autorimessa (gli Ncc non possono procacciare i clienti per strada). I fermati Black infatti sono tanti quanti quelli Pop.
Dopo le contravvenzioni, la palla passa ai giudici di Pace che hanno il potere di restituire patente e vettura. Molto dipende dai giudici, anche se si è diffusa l’opinione di non stangare i presunti abusivi, spesso finiti qui senza alternativa di lavoro. Attenuante morale che non vale per chi vuole integrare il reddito, come l’ufficiale dell’aeronautica beccato a portare clienti Uber fuori dalla caserma. Ciò comporta problemi fiscali. Perché Uber recepisce in Olanda la commissione del 20% sulle corse con le tasse che ricadono sull’autista. Il quale, però, può essere reticente a dichiarare tali redditi, se legato, per esempio, a vincoli di esclusiva. Senza dimenticare che alcuni Pop contattano direttamente i clienti in nero. Le basse tariffe (notturne a 5 euro) portano a guadagni risicati. Uber lancia anche molte promozioni sia nei giorni di sciopero dei mezzi, sia una tantum come oggi a Roma, dove trasporterà il cibo giapponese sushi a domicilio.
Che sia una questione di nomi, lo dice anche il lavoro dei legali dello studio Pavia e Ansaldo. Per funzionare in Italia, Uber ha bisogno di 4 società olandesi (Uber Int bv, Uber bv, Uber Int holding bv, Rasier operations bv) e una italiana (Uber Italy srl). E ce ne sarebbe anche una sesta, americana, titolare dei diritti del sito e della app che non essendo direttamente operativa è stata tenuta fuori. Un sistema definito «poco trasparente» dai sindacati, che ricalca anche la policy di comunicazione. Bilanci top secret, Uber non rivela il numero dei driver (stimati essere più di un migliaio in Italia). Infine, ieri, l’Antitrust si è smarcata da ogni competenza: «Tocca al giudice ordinario».