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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Spieghiamo bene che cos’è questa Legge Severino e perché fa tanto discutere. Disparità tra parlamentari e sindaci, ecco i punti sui quali rischia

In cosa consiste la legge Severino?
Quando, in questi giorni, si parla di legge Severino, si fa riferimento al testo unico in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo. Si tratta del decreto legislativo numero 235 del 31 dicembre 2012, che discende dalla legge 190 approvata dal Parlamento nel novembre dello stesso anno (la legge delegava appunto il governo ad approvare il testo unico). Prende il nome dal ministro della Giustizia dell’epoca, Paola Severino, anche se la legge delega aveva preso le mosse già nel 2010 quando ministro era Alfano.
Quali criteri stabilisce?
Hanno l’effetto di determinare incandidabilità alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo, alle Regioni e agli enti locali sentenze definitive di condanna per un lungo elenco di reati, dal peculato alla concussione alla malversazione ai danni dello Stato, oltre ovviamente a reati gravi come l’associazione di stampo mafioso o reati di terrorismo. Le ragioni di incandidabilità al Parlamento costituiscono cause ostative all’assunzione di incarichi di governo.
Per parlamentari ed eletti nei Comuni e nelle Regioni le condizioni poste sono le stesse?
No, c’è una sostanziale differenza. Diversamente dai parlamentari, basta una condanna non definitiva per tutta una serie di reati per determinare la sospensione «di diritto» dalla carica. Con la condanna definitiva arriva la decadenza.
Perché questa differenza?
La delega dà mandato al governo di fare una ricognizione della normativa già in vigore in materia di incandidabilità per quanto riguarda gli enti locali. Già prima di questa legge, spiega la democratica Donatella Ferranti, attuale presidente della Commissione giustizia e già deputata nella scorsa legislatura, esistevano cause di sospensione anche con sentenze non definitive per gli eletti di Regioni e comuni, per alcuni reati piuttosto gravi: «Il decreto ha ampliato la rosa dei reati per i quali questo è possibile, includendo anche l’abuso d’ufficio», che è esattamente la ragione per la quale è stato condannato in primo grado il candidato del Pd in Campania Vincenzo De Luca. Perché per i sindaci o i governatori di Regione sì e per deputati e senatori no? Secondo i difensori di questa legge, la differenza sta nel fatto che i primi hanno maggiori responsabilità nell’amministrazione diretta della cosa pubblica.

Quali sono le critiche alla legge?

A lungo si è discusso se la si debba considerare retroattiva oppure no. Quando venne colpita la prima «vittima illustre» della legge, Silvio Berlusconi, e ne venne decisa la decadenza da senatore, i suoi difensori contrastarono quella decisione invocando la non retroattività della legge, considerandola una norma penale e che quindi si può applicare solo a fatti successivi alla sua entrata in vigore. Opinione opposta rispetto a chi la considera semplicemente una norma amministrativa.
Ci sono dubbi anche sulla sua costituzionalità?
Da più parti si avanzano dubbi. In particolare, riguardo alla sospensione degli eletti di Regioni ed enti locali con condanne non definitive, considerato che, secondo l’articolo 27 della Costituzione, non si è colpevoli fino a sentenza definitiva. «La presunzione d’innocenza la si può sacrificare per reati gravissimi come l’infiltrazione mafiosa», considera il costituzionalista Stefano Ceccanti, visto che, ricorda, appunto già poteva succedere. «Ma la si può sacrificare per condanne non definitive più lievi? Temo una eccessiva limitazione del diritto di elettorato passivo e un problema di alterazione del rapporto tra politica e magistratura».