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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

Storia di Paula Cooper, la ragazza a cui milioni di persone avevano voluto salvare la vita ha finito col togliersela da sola. Qualunque ne sia stata la ragione, è proprio vero che l’unico vero giudice di ogni essere umano è se stesso

La ragazza che avrebbe dovuto morire non è riuscita a vivere. Paula Cooper aveva quindici anni quando, in combutta con tre amiche, vibrò trentatré coltellate a un’insegnante di catechismo per rubarle pochi spiccioli e le chiavi dell’auto. Abitava nella miseria, da bambina le avevano stuprato la mamma sotto gli occhi, ma non chiese né ottenne pietà. Fu condannata alla sedia elettrica da un tribunale dell’Indiana che la definì «irrecuperabile». L’Italia la adottò: la minorenne avviata al patibolo aveva toccato una corda sentita più qui, nel Paese delle mamme, che altrove. Si mobilitarono i laici – partito radicale in testa – e i cattolici con un intervento personale di papa Wojtyla. Furono raccolte due milioni di firme e alla fine, non solo per merito nostro, la pena capitale venne commutata in sessant’anni di carcere, poi dimezzati per buona condotta. Due anni fa Paula è uscita di prigione con un diploma, il sogno di aprire un ristorante e quello ancora più grande di affiancare Bill – il nipote della vittima, che dopo averla tanto odiata era arrivato a perdonarla – in un’associazione che si batte affinché a tutti i condannati a morte sia concessa una seconda possibilità.
È a se stessa che Paula non ha voluto concederla. L’hanno trovata martedì mattina a Indianapolis, stesa davanti alla porta di casa con un proiettile in testa e una pistola con le sue impronte accanto. La ragazza a cui milioni di persone avevano voluto salvare la vita ha finito col togliersela da sola. Qualunque ne sia stata la ragione, è proprio vero che l’unico vero giudice di ogni essere umano è se stesso.