Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1985  maggio 29 Mercoledì calendario

Liverpool-Juventus, la strage dell’Heysel

• Bruxelles, stadio Heysel, è in programma la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Prima della partita le cariche degli hooligans inglesi costano la vita a 39 persone: 32 italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandese (fatale il crollo di un muro nel settore Z). Circa 600 i feriti. Le squadre giocano lo stesso. Vince la Juventus 1-0 con gol di Platini su rigore (concesso per un fallo su Boniek commesso ampiamente fuori area). I bianconeri diventano così la prima squadra ad aver conquistato tutte e tre le coppe europee.
• L’Heysel è uno stadio costruito nel 1935 per l’Esposizione Universale. Inizialmente si chiama stadio del Giubileo. «Da fuori non ha proprio le fattezze di un vero impianto sportivo, dietro le curve c’è addirittura un prato con degli alberi che digradano verso l’alto formando una collinetta. La tribuna centrale assomiglia a un fabbricone e ci sono due coperture soltanto per i settori centrali. I muri esterni, così come molte parti della struttura, sono fatti di calcestruzzo, un conglomerato composto da acqua, sabbia, ghiaia, ma anche calce e cemento. Può contenere 50.000 spettatori, anche se negli anni Trenta ne poteva contenere 70.000, i posti non sono numerati e con qualche escamotage si arriva anche a superare la massima capienza consentita. Le richieste di tagliandi per la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool sono dieci volte superiori alla sua capienza […] L’Heysel si presenta con una pianta simile alla maggioranza degli stadi di quegli anni, con un largo spazio tra curva e campo da gioco, pista d’atletica e aree per la cartellonistica» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• «La città era lurida, la percorrevano ruscelletti di birra e piscio. Alle dieci di mattina, la Grand Place era piena di vetri spezzati. Gruppi di inglesi ubriachi ronfavano nel mezzogiorno, distesi sul selciato, le teste appoggiate a cartoni di bottiglie usate come cuscini. A un certo punto, da una finestra d’improvviso spalancata volò un oggetto di cristallo, una specie di centrotavola scagliato per disperazione contro la marea urlante degli hooligans, ed esplose come una bomba. Si rischiava di ferirsi anche solo passeggiando, nell’attesa della partita. Ed era un giorno tiepido, dolcissimo» [Maurizio Crosetti, la Repubblica 25/5/2015].
• Il settore Z inizialmente doveva essere misto, in realtà è occupato quasi interamente dai tifosi bianconeri. A dividerlo dai settori X e Y, tutti dei supporter del Liverpool, ci sono solo una rete metallica alta circa due metri sostenuta da paletti di profilato metallico del diametro di ottanta millimetri e una decina di poliziotti, tra cui una donna con un cane lupo al guinzaglio [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• «Nel pomeriggio la gendarmeria è intervenuta fuori dallo stadio per sedare l’assalto a un chiosco di hot dog, dove gli inglesi hanno rapinato la titolare e sua figlia. L’assalto al chiosco di hot dog resta per tutto il pomeriggio, e fino a sera inoltrata, l’unico intervento messo a verbale dalle forze dell’ordine belghe, che ancora non sono al corrente di quanto sta accadendo all’interno dello stadio» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• Tra le 16.29 e le 18.54 la stazione mobile dei pompieri Tango 12 (l’Heysel non ha una sala di controllo), ordinerà 19 interventi, tra cui sedici evacuazioni, tutti nei settori italiani L, M e N. Nel settore X un tifoso del Liverpool a torso nudo sotto il giubbotto sale su un corrimano e brucia una bandiera italiana. Un razzo parte dal settore X e si schianta nel settore Z. Tra i tifosi inglesi comincia a circolare una voce: nel settore Z stanno aggredendo dei compagni del Liverpool. Alle 19.30 la polizia parla di un «tafferuglio generale» nel settore Z. Un minuto più tardi, alle 19.31, un nuovo messaggio  annuncia «il crollo di una palizzata» [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• «19.07, un minuto prima dell’incidente. Il settore z contiene 6.000 spettatori. Il settore X e il settore Y dovrebbero contenerne circa 17.000, ma vi sono almeno 5.000 tifosi inglesi in più che sono entrati senza biglietto. Il settore Z è colorato, variegato, ci sono uomini vestiti di bianconero in modo anche pittoresco, le tute acetate e cappelli buffi a falde tese, tre tipi vestiti ironicamente da mafiosi che deridono certi radicati luoghi comuni sugli italiani. Gli sfottò sono blandi, ma gli inglesi vicino al settore z provocano, vorrebbero uno scontro, sono troppo alterati dall’alcol per capire che davanti a loro ci sono solo famiglie e sparuti cani sciolti. La rete leggera cade facilmente, viene tagliata, scavalcata, non c’è più; un parà reduce della guerra nelle isole Falkland chiama la carica, la gente scappa, cerca una via di fuga verso il prato, ma i pochi poliziotti presenti non capiscono il dramma in corso e manganellano gli italiani che vogliono fuggire dal settore e scavalcano la recinzione che lo divide dal campo» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• «In tv la voce di Bruno Pizzul cerca di spiegare quanto sta accadendo ma è difficile dare un senso a quello che le immagini mostrano. La polizia non riesce a controllare i tifosi inglesi, interviene in ritardo, quando ormai gli hooligans, allora noti in tutta Europa per la loro violenza, inseguono i supporters della Juventus fino all’estremità degli spalti. Presi dal panico i tifosi italiani si ammassano nell’angolo più lontano e basso del Settore Z, schiacciati l’uno sull’altro contro un muro. Il muro crolla e a salvarsi saranno solo i tifosi intrappolati perché quelli rimasti schiacciati troveranno la morte» [Benedetto Ferrara, la Repubblica 28/09/2009].

• Ricorda oggi Maurizio Crosetti, allora giovane inviato di Tuttosport: «Dalla tribuna si capiva e non si capiva. “Ci sono dei morti”, disse una voce, e subito ci precipitammo giù dalle scale verso l’antistadio. E li vedemmo. Erano già allineati, cinque, otto, dodici corpi morti in fila e senza nessuno accanto. Corpi soli, irreparabili. Transenne di ferro venivano usate come barelle, la polizia a cavallo andava avanti e indietro, soffiando nei fischietti e roteando bastoni. C’erano infermieri, pochi, e medici, ancora meno. La gente italiana vede i pass che penzolano al collo dei giornalisti, allunga mani, porge foglietti con numeri di telefono, per favore chiamate casa, dite a mia mamma che sono vivo. Non esistevano cellulari, computer, internet in quella preistoria dell’uomo. In tribuna stampa, noi di Tuttosport avevamo un telefono a disco di bachelite nera e sì, qualcuno di quei numeri ignoti lo componemmo ma pochi, c’era prima da lavorare, da dettare i pezzi a braccio, nessuno scrisse una riga battendo i tasti delle Olivetti, fu semmai una narrazione orale e corale, un disperato racconto nel buio, una pioggia di parole intrise di sangue» [la Repubblica 25/5/2015].
• A questo punto, da Bruxelles e da tutto il Belgio, nel giro di un’ora vengono mobilitate quattordici squadre di medici e sessantacinque ambulanze, 204 poliziotti si aggiungono ai 559 già sul posto, tre elicotteri Puma cominciano a volteggiare in cielo.
• Giampiero Boniperti, allora presidente della Juventus: «La gendarmeria belga sbagliò su tutta la linea. Per tacere delle agenzie che vendettero biglietti “promiscui”, affiancando le famigliole dei nostri tifosi ai teppisti del Liverpool, ubriachi fradici e cotti dal sole. Una vergogna. Fu une vera e propria caccia allo juventino, il muretto del settore Z crollò alla prima pedata» [Roberto Beccantini, La Stampa 29/5/2010].
• «Fa caldo, la birra (quella belga è buona, niente da dire) è un fiume in piena nel sangue delle bestie venute dalle sponde povere e depresse della Mersey. Accoltellati un anno prima dai tifosi (?) giallorossi a Roma, sempre per una finale di coppa di Campioni meditano vendetta. Attaccano, i cocci di bottiglia come armi, le facce stravolte. Le retine vengono travolte, i gendarmi spariscono salvo manifestarsi a bordo campo, a manganellare gli juventini che cercano di scappare verso il prato» [Roberto Perrone, Corriere della Sera 25/5/2015].
• Lo scrittore e giornalista del Times Tony Evans, quel giorno sugli spalti tra i tifosi del Liverpool: «Partimmo a piedi per lo stadio. Ovunque c’erano tafferugli. In circostanze normali, tutto ciò non sarebbe avvenuto. Ma quel giorno era diverso... Eravamo ubriachi ma anche in quello stato capimmo che lo stadio era fatiscente. Alle entrate non vi erano praticamente controlli. Eravamo nel settore Y, accanto al maledetto settore Z, e si capì subito che eravamo in troppi. La folla ci spinse avanti, verso il campo, crollò una prima barriera. La polizia reagì con i manganelli. Vidi un ragazzo – uno dei nostri – rimasto imbrigliato nel filo spinato mentre cercava di scavalcare un muro. E vidi un poliziotto che lo manganellava. Mi avvicinai e gli diedi un pugno in faccia. Scappò via. A quel punto, quasi tutta la polizia si era dileguata. E così noi ci concentrammo sul bar, dove un povero cristo vendeva patatine e panini. In pochi secondi avevamo saccheggiato tutto. Tra settore Y e settore Z vi era un fitto lancio d’oggetti. In realtà, per gli standard di quegli anni, non era nulla di inusuale. Guardammo con invidia gli spazi nel settore Z che era mezzo vuoto, mentre il nostro settore Y, complici i molti tifosi senza biglietto, era strapieno. Mi assentai per qualche minuto per fare la pipì. Al ritorno vidi che la rete che separava i due settori era caduta e che molti dei nostri erano passati al settore adiacente...» [Tony Evans, La Stampa 27/5/2010].
• Alle 19.49 lo schermo nero dello stadio riporta a grandi lettere bianche il seguente messaggio: «Si prega di contenere ogni manifestazione di gioia o disapprovazione nei limiti della sportività e di collaborare con i servizi di sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni» [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• Superato l’orario in cui era previsto il fischio d’inizio della partita, ovvero le 20.15, i tifosi dei Reds si mettono a intonare ripetutamente il coro: «We want football! We want football!».
• Il ricordo di Cesare Prandelli, quel giorno in campo negli ultimi minuti della partita: «Manca un bel po’ al via. Siamo concentrati. Quella Coppa è importantissima. È ciò che manca alla Juve. C’è silenzio. Poi arriva Boniperti. È sconvolto. Urla. Grida che non si gioca, parla di morti, è fuori di sé. Noi non capiamo cosa stia accadendo. Boniperti va via chiamato dai dirigenti Uefa. Arriva il suo autista, uno piccoletto, ci dice di aver visto dei cadaveri sotto lenzuoli bianchi davanti allo stadio. Dalla porta che dal corridoio dello spogliatoio dava sul campo vedevamo solo un pezzo di quella curva maledetta. Avevo visto ondeggiare i tifosi del Liverpool. Ma da lì non vedevo altro. Dopo si è scatenato l’inferno: abbiamo visto la gente sul terreno di gioco e quindi centinaia di persone che scappavano terrorizzate passando davanti al nostro spogliatoio, l’unica via di fuga. Bambini, uomini, donne: urlavano “ci hanno massacrati”, parlavano di morti, volevano trovare una via d’uscita. C’era confusione. Panico. Non si capiva bene. Poi arrivò qualcuno a dirci che dovevamo andare in campo e giocare per motivi di sicurezza. Era un ordine. Nessuno di noi pensava a giocare. Mi ricordo un silenzio surreale. Occhi bassi. Io nel frattempo ero stato incaricato di dire a tutti i nostri familiari presenti di tornare assolutamente in albergo» [Benedetto Ferrara, la Repubblica 28/09/2009].
• Ancora Boniperti: «Nel 1985, non c’erano ancora i telefonini. Chi era dall’altra parte dello stadio, non poteva percepire l’entità del dramma. Lo avrebbe capito da un improvviso ritiro delle squadre, dalla cancellazione della finale. E allora, dissero per convincerci, sarebbe stato non più un inferno, ma l’apocalisse. Può immaginare la confusione, il caos. Barelle, sirene, urla strazianti. Cercammo in tutti i modi di non far entrare la notizia nello spogliatoio. Per questo, impedii fisicamente a Edoardo, il figlio dell’Avvocato, di parlare con i ragazzi. Edoardo lo ricordo vagare per il campo: non riuscivano a portarlo via. Lo trascinai in uno stanzone e gli intimai di non muoversi da lì. Suo padre, non appena arrivò e venne informato, disse all’autista di tornare indietro» [Roberto Beccantini, La Stampa 29/5/2010].
• Zibì Boniek: «Anche se noi non volevamo, ci dissero che non giocare avrebbe provocato, là fuori, la guerra civile. E allora come fai in un minuto, in un clima di delirio, a decidere che quello che ti viene detto è giusto oppure è sbagliato? Criticare i comportamenti a cose compiute è facile: ma esserci dentro è maledettamente difficile» [Paolo Ziliani, il Fatto Quotidiano 27/5/2015].
• Dei sessanta canali televisivi che hanno acquistato i diritti per la finale, solo la svizzera Zdf e la consorella della Germania Ovest decidono di sospendere la diretta prima del calcio d’inizio. Gli austriaci invece continuano a trasmettere, ma senza telecronaca e con il seguente messaggio ripetuto in continuazione in sovrimpressione: «Questo non è un programma sportivo, ma una trasmissione volta a evitare altri massacri» [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• Il telecronista italiano è Bruno Pizzul. «Pizzul era puntuale, professionale, mai enfatico, rigoroso nel trasmettere le informazioni che arrivavano confuse ma che lui traduceva con chiarezza e buon senso. Si percepiva la solitudine del cronista che filtrava la messe caotica di notizie incontrollabili con una cautela che lo rendeva ammirevole, come un inviato di guerra al fronte. Il fatale riscontro arriverà più tardi a metà diretta, con un sospiro: “La fonte è dell’Uefa: pare ci siano trentasei vittime”. Ce ne saranno trentanove, ma l’Italia apprese in quel momento la notizia della più grave tragedia» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• Il giornalista di Radio Rai Bruno Gentili: «Ero entrato in possesso della lista degli italiani che avevano perso la vita, Ameri la consultò senza dire una parola, la mise da una parte e, nonostante le pressanti richieste degli ascoltatori che chiedevano notizie dei propri familiari, non volle mai comunicare quei nomi» [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• Alle 20.30 i giocatori scendono tra i tifosi, i primi sono Cabrini, Tardelli, Brio. Sono quasi aggrediti dalla folla, «Pare ci siano dei morti» gli urlano, e loro sono lì per calmarli, la Juventus non vuole giocare, si sta ipotizzando il rinvio.• L’altoparlante che rimanda la voce del capitano della Juventus Gaetano Scirea: «La partita verrà giocata per consentire alla polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio, non rispondete a provocazioni, restate calmi, giochiamo per voi».
• «Quasi le nove di sera, c’è ancora luce sull’Heysel. I tifosi della Juventus hanno ritirato ogni striscione e ogni bandiera. L’elicottero rosso che ruba le immagini per portarle nei teleschermi dell’Eurovisione restituisce la fotografia di uno stadio apparentemente normale, un piccolo spicchio grigio ricoperto di detriti, una curva in festa e un’altra curva mesta, silenziosa. Alcuni tifosi juventini, andati a cercare vendetta, sono rimasti sulla pista d’atletica: sono una dozzina, dinoccolati, magri, e iniziano un giro di campo nel quale avvisano tutti di tenere nascoste sciarpe e bandiere in segno di rispetto e lutto, anche se il tam tam all’interno dello stadio è ancora convulso, girano voci strane, un morto, sette morti, ventuno addirittura, il muretto su cui erano appoggiati dei tifosi è crollato, forse sono di nazionalità miste. È un invito che viene rispettato da tutti» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• Così Enrico Ameri in diretta radio alle 21, quando arriva dall’Uefa la conferma, parziale, dei morti: «I morti ufficiali finora sono soltanto due, e noi adesso per il momento ci fermiamo a questi due morti, che sono già molti, che sono già troppi, per questo spettacolo sportivo che stasera tocca veramente il fondo della tragedia».
• Il portiere del Liverpool Bruce Grobbelaar: «Mancavano cinque minuti al riscaldamento, capimmo che era successo qualcosa: arrivava gente nella nostra zona. Quattro o cinque di noi s’affannarono a dare una mano. Passammo dall’interno dei secchi d’acqua, prendemmo degli asciugamani dalle docce e li lanciammo fuori. Riuscimmo a fare solo questo, ma ormai sapevamo abbastanza per non voler giocare. Uscimmo poi per giocare, e nella mia area di rigore c’erano tre coltelli a terra. Li avevano lanciati dal settore alle spalle. Questo era il clima» [Angelo Carotenuto, la Repubblica 25/5/2015].
• Le due formazioni:
Liverpool
Grobbelaar, Neal, Beglin, Lawrenson, Hansen, Nicol, Dalglish, Whelan, Rush, Walsh, Wark. Allenatore: Fagan.
Juventus Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Briaschi, Tardelli, Rossi P, Platini, Boniek. Allenatore: Trapattoni.
• «Alle 21.40 inizia una partita che alcuni bene informati dicono finta. A quale punto siamo giunti. Poiché si gioca, mi tocca guardare» (Gianni Brera) [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015]. • La partita ha inizio esattamente alle 21.42, circa un’ora e mezza dopo l’orario previsto. I due capitani Phil Neal e Gaetano Scirea si scambiano il gagliardetto e si stringono la mano. L’arbitro svizzero André Daina procede al lancio della monetina. Il sorteggio è favorevole agli italiani. Scirea sceglie la metà campo a sinistra della linea mediana, che dà le spalle al settore Z. Agli inglesi spetta il calcio d’inizio.
• «Quando cade l’acrobata, entrano i clown» dirà un anno dopo Michel Platini ricordando i fatti dell’Heysel.
• Cesare Prandelli: «Giocammo quel primo tempo con la testa altrove. Eravamo convinti di recitare una parte per evitare ulteriori tragedie. Nell’intervallo il delegato Uefa entrò nello spogliatoio e ci disse con tono duro che quella finale non sarebbe stata più rigiocata. Il messaggio era chiaro. Io posso dire che giocai sei minuti nel finale. Giocai e provai a non pensare. L’istinto di un calciatore. C’era uno stadio blindato e una possibile caccia all’uomo. Quando la sera in albergo abbiamo rivisto le immagini nella stanza di Tardelli, siamo sbiancati in faccia e abbiamo smesso di parlare per un bel po’» [Benedetto Ferrara, la Repubblica 28/09/2009].
• Tony Evans: «Della partita non ricordo nulla. Del dopo-partita ricordo la paura di essere accoltellato dagli juventini. E ricordo il poliziotto belga che, preso dall’ira, lanciò un lacrimogeno dentro un autobus di tifosi del Liverpool» [Tony Evans, La Stampa 27/5/2010].
• Alle 23.30, un attimo dopo che Scirea ha liberato di testa la sua aerea, l’arbitro Daina fischia la fine della partita. Se davanti ai settori X e Y i poliziotti sono ormai troppo numerosi perché gli ultras inglesi possano invadere il campo, i tifosi juventini delle tribune laterali approfittano della minore vigilanza per riversarsi sul prato. Si gettano sui giocatori, vogliono abbracciarli.
• La cerimonia di premiazione al centro del campo è annullata. Il presidente dell’Uefa Jacques Georges consegna la coppa a Platini negli spogliatoi. Poco dopo il capitano della Juventus torna sul campo con il trofeo in mano e con i suoi compagni va sotto la curva dei tifosi bianconeri per festeggiare.
• Sull’aereo del ritorno Scirea, Cabrini, Rossi e Tardelli affidano a Gianni Mura una sorta di comunicato per spiegare cos’era davvero successo alla fine della partita: «Ci hanno consegnato una Coppa e ci hanno detto di mostrarla ai nostri tifosi. Non ci rimaneva che terminare la nostra recita. L’abbiamo fatto. Nessuno è venuto a dirci niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella metà campo dello stadio dove c’erano i tifosi della Juventus. Non sapevamo assolutamente che fare, se dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi oppure recitare soltanto fino in fondo il ruolo che ci avevano chiesto. Lo abbiamo fatto con la morte nel cuore e speriamo soltanto che nessuno ci chieda più una cosa simile, mai più».
• Scendendo dall’aereo, al ritorno in Italia, il vicecapitano bianconero Sergio Brio viene immortalato mentre alza la Coppa al cielo in segno di vittoria. Un gesto che farà indignare i parenti delle vittime e tutta l’opinione pubblica. L’allora direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò scriverà un editoriale in prima pagina intitolato: «Juve, abbassa quella Coppa».
• Le 39 vittime:Rocco Acerra (28 anni, di Francavilla al Mare, Chieti)
Bruno Balli (50 anni, di Prato)
Alfons Bos (35 anni, belga)
Giancarlo Bruschera (34 anni, di Taino, Varese)
Andrea Casula (1° anni, di Cagliari)
Giovanni Casula (43 anni, di Cagliari)
Nino Cerullo (24 anni di Francavilla al Mare)
Willy Chielens (41 anni, belga)
Giuseppina Conti (17 anni, di Arezzo)
Dirk Daeneckx (27 anni, belga)
Dionisio Fabbro (51 anni, di Buia, Udine)
Jaques François (45 anni, francese)
Eugenio Gagliano (35 anni, di Mirabella, Catania)
Francesco Galli (25 anni, di Calcio, Bergamo)
Giancarlo Gonelli (45 anni, di Ponsacco, Pisa)
Alberto Guarini (21 anni, di Mesagne, Brindisi)
Giovacchino Landini (49 anni, di Torino)
Roberto Lorentini (31 anni, di Arezzo)
Barbara Lusci (58, di Domus Novas, Cagliari)
Franco Martelli (22, di Tosi, Perugia)
Gianni Mastroiaco (20 anni, di Casette, Rieti)
Sergio Mazzino (37 anni, di Cogorno, Genova)
Loris Messore (28 anni, di Torino)
Luciano Rocco Papaluca (37 anni, di Bruzzano, Milano)
Luigi Pidone (31 anni, di Nicosia, Enna)
Benito Pistolato (50 anni, di Bari)
Patrick Radcliffe (38 anni, irlandese)
Domenico Ragazzi (44 anni, di Roccafranca, Brescia)
Antonio Ragnanese (29 anni, di Brugherio, Milano)
Claude Robert (30 anni, francese)
Mario Ronchi (42 anni, di Bassano del Grappa, Vicenza)
Domenico Russo (26 anni, di Moncalieri, Torino)
Tarcisio Salvi (49 anni, di Brescia)
Gianfranco Sarto (46 anni, di Donada, Rovigo)
Mario Spanu (41 anni, di Novara)
Amedeo Giuseppe Spolaore (54 anni, di Bassano del Grappa, Vicenza)
Tarcisio Venturin (23 anni, di Pero, Milano)
Jean Michel Walla (32 anni, belga)
Claudio Zavaroni (28 anni, di Reggio Emilia).
• «Le autopsie furono rapide, invasive, molto violente. I corpi vennero letteralmente squartati e malamente ricuciti, per arrivare frettolosamente al referto “morte accidentale”. I corpi non furono suturati per affrettare i tempi del rientro e gli effetti personali di molti non furono mai recuperati perché oggetto dello sciacallaggio degli hooligans» [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• Nel processo che seguirà, i ventisei accusati, riconosciuti dalle telecamere e dalle fotografie durante atti di linciaggio e aggressione, dissero che erano stati provocati, che gli italiani avevano picchiato un bambino, ma di questo bambino inglese picchiato non ci sarà nessuna traccia [Mario Desiati, La notte dell’innocenza, Rizzoli 2015].
• «Alla fine non paga nessuno, certo non con pene adeguate alla gravità di quanto accaduto. A battersi, ostinato ma mai aggressivo, resta un uomo solo, Otello Lorentini di Arezzo. Otello ha perso un figlio, Roberto, nel massacro. Medico, è in salvo ma tornato indietro per soccorrere i feriti. Otello è solo, in aula, nel 1990 quando la corte condanna l’Uefa. Quel giorno, a Bruxelles, si stabilisce un precedente. L’Uefa è responsabile per tutte le manifestazioni che organizza» [Roberto Perrone, Corriere della Sera 25/5/2015].
• L’Heysel sarà riaperto undici mesi dopo, il 23 aprile ’86 per Belgio-Bulgaria e ristrutturato in occasione dell’Europeo del 2000. Nel frattempo, ha cambiato nome, trasformandosi in stadio “Re Baldovino”. L’Italia ci giocò due partite: la prima contro il Belgio, nella fase a gironi, la seconda nei quarti contro la Romania. In entrambi in casi gli azzurri vinsero 2-0. Zoff aveva guidato la nazionale che, prima della gara con il Belgio, era andata a rendere omaggio alle vittime del 29 maggio ’85, i cui nomi erano stati collocati su una lapide all’esterno dell’ex curva nord. In questi ultimi anni, lo stadio “Re Baldovino” è diventato soprattutto un impianto per l’atletica: ospita ogni anno il Memorial Van Damme, un meeting internazionale di atletica, tappa della Diamond League [Corriere della Sera 5/10/2007].
• «Mi è stato chiesto migliaia di volte di parlare dell’Heysel e ho sempre detto di no. Ho il diritto di tenere per me i miei sentimenti, non ho voglia di ritrovarli su un libro o su un giornale» (Michel Platini) [Jean-Philippe Leclaire, Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare, Piemme 2006].
• La moglie di Platini, Christèle: «Michel non ne parla mai. Si è convinto che uno dei francesi morti quella sera fosse andato a Bruxelles solo per lui» [Jean-Philippe Leclaire, Platini, il romanzo di un giocatore, 1998].

(a cura di Luca D’Ammando)