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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Travaglio e il trionfo di Podemos: «Si dovrebbe avere il buon gusto di tacere dinanzi alla vittoria di un partito di sinistra che fa delle battaglie contro la casta, la corruzione e l’austerità i suoi tre punti di forza. Ma chiedere il silenzio a Brunetta è come pretendere l’astinenza da Rocco Siffredi o l’inappetenza da Giuliano Ferrara»

Chi insinua che in Italia non podemos avere Podemos si vergogni e arrossisca. Al contrario: a parte Massimo Franco e Stefano Folli, detti anche il Pompiere della Sera e quello di Repubblica, ormai una coppia di fatto che andrebbe regolarizzata, atterriti dall’avanzata dei pericolosi “populisti anti-sistema” che dalla vicina Spagna rischiano di occupare manu militari la nostra povera Italia e contro i quali s’impone una coalizione internazionale per affondarne i barconi, qui è tutta una corsa sul carro della sinistra spagnola anticasta, anticorruzione e antiausterità. Matteo Salvini, fra un raduno a Casa Pound, un raid nei campi rom e una battutaccia sugli immigrati, ha ordinato tutti i dischi di Julio Iglesias per allenarsi con le sue canzoni ed è stato udito gorgheggiare “Non sono un pirata sono un signore”. Poi gli hanno spiegato che quello è l’Iglesias sbagliato: quello giusto si chiama Pablo e avrebbe qualche problemino a fraternizzare col capoarea italiano di Marine Le Pen. Ma il Podemos alla cassoela non ha sentito ragioni: “Il risultato elettorale della Spagna e anche il voto in Polonia sono una bella mazzata per i difensori dell’Europa della banche e i servi di Bruxelles”, ha esultato a Radio Padania: “Abbiamo tante differenze da Podemos ma questa è una boccata d’ossigeno per l’Europa dei popoli e una sconfitta per Monti, Renzi e i vari burocrati di Bruxelles. E una rottura del duopolio socialisti-democristiani, Pd-Forza Italia”. Chissà se per Forza Italia intende il partito alleato del suo, anche alle Regionali di domenica prossima. E chissà se, fra i servi di Bruxelles, è compreso anche lui, che bivacca tra Bruxelles e Strasburgo da 11 anni a botte di 15-20 mila euro al mese senza lasciarvi traccia alcuna. L’altro Matteo, rottamatore della sinistra italiana nonché fautore del partito unico (della nazione), del preside unico e ultimamente del sindacato unico, si sente anche lui molto Podemos. Pare che abbia commissionato al suo barbiere di fiducia, Tony Salvi da Pontassieve – quello che gli taglia il ciuffo, gli leviga le basette e cura i suoi “capelli bellissimi” – una fornitura di extension pilifere per farsi il codino come Pablo Iglesias e inscenare il suo ultimo travestimento in ordine di tempo: quello da comunista spagnolo. Com’è noto, Renzi è una via di mezzo fra Zelig e Arturo Brachetti. Quando in Grecia vince Syriza, dice che “la vittoria Tsipras è una speranza contro la crisi”. Poi va dalla Merkel, nemica giurata di Tsipras, e annuncia che “la Germania è il mio modello”.
Poi va da Obama e comunica che “l’America è il mio modello”. E ora che in Spagna vince Podemos contro le politiche tedesche e americane, il suo modello diventa Iglesias: “Il vento della Grecia, il vento della Spagna, il vento della Polonia non soffiano nella stessa direzione, soffiano in direzione opposta, ma tutti questi venti dicono che l’Europa deve cambiare e io spero che l’Italia potrà portare forte la voce per il cambiamento dell’Europa nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. O l’Europa riesce a cambiare la propria politica economica o saranno sempre più forti i movimenti contro Bruxelles e contro Strasburgo”. Che peccato: per sei mesi, dal 1° luglio al 31 dicembre, il presidente di turno dell’Unione europea era lui, ma l’idea di cambiarla non gli è proprio venuta in mente. Vabbè, dai, c’è tempo. Poi c’è il Podemos alle cime di rapa, Nichi Vendola: “Con la vittoria di Podemos viene sconfitta sia l’Europa liberista di Renzi sia quella fascista di Salvini”. E pare di immaginarlo, Pablo Iglesias che sghignazza al telefono con Girolamo Archinà, plurinquisito braccio destro della famiglia Riva.
Ci prova anche Luigi Di Maio, Podemos a 5 stelle: “Quello che è successo a Madrid e Barcellona dimostra che chi si schiera con i fatti dalla parte dei cittadini, viene sempre premiato con la loro fiducia. Andiamo avanti!”. Ma, a parte il fatto che l’M5S si dice “né di destra né di sinistra” mentre Podemos è di-sinistra-così (con due pugni alzati, come Mario Brega nel film di Verdone), Di Maio per somigliare a Iglesias dovrebbe almeno spettinarsi un po’, oltre a piantarla con le espulsioni un tanto al chilo. “Ottima notizia la sconfitta dei partiti liberisti, popolari e socialisti e la vittoria della sinistra alternativa: la strada per vincere le prossime Politiche è l’unità dei movimenti sociali”, tripudia Paolo Ferrero, segretario dell’estinta Rifondazione: anche lui, come i 5Stelle, qualche parentela con Iglesias la può rivendicare. Ma dev’essere terribile collezionare fiaschi su fiaschi in patria e vincere sempre e soltanto all’estero per interposto Podemos o Syriza. Però ciascuno si consola come può.
Gasparri, inopinatamente, tace: starà mica poco bene? In compenso, per l’angolo del buonumore, esterna Renato Brunetta, capogruppo forzista. Chi stava nel governo B. ai tempi della lettera della Bce, chi si è circondato di pregiudicati e inquisiti, chi ha abolito il falso in bilancio e garantito l’impunità a corrotti e corruttori, chi ha sostenuto il governo Monti, chi ha votato non solo la legge incostituzionale della Fornero ma persino il pareggio di bilancio in Costituzione, dovrebbe avere il buon gusto di tacere dinanzi alla vittoria di un partito di sinistra che fa delle battaglie contro la casta, la corruzione e l’austerità i suoi tre punti di forza. Ma chiedere il silenzio a Brunetta è come pretendere l’astinenza da Rocco Siffredi o l’inappetenza da Giuliano Ferrara. Ecco dunque l’epocale tweet di Renatino, pudicamente firmato Il Mattinale: “Il vento è cambiato. Podemos cacciar via Renzi da Palazzo Chigi. Podemos e lo faremos”. Lo portanos vias.