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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Uber, l’app che divide il mondo. È una nuova geopolitica del pianeta, con mappe e confini che vengono ridisegnati dai rapporti di forze: dove vincono gli utenti; dove invece s’impongono le corporazioni o il primato delle normative. La sentenza del tribunale di Milano colloca l’Italia nel secondo campo. Le nazioni anglosassoni sono nel primo

Il mondo è diviso da Uber. Da una parte nazioni che abbracciano la nuova app cercaautisti, in nome della libertà dei consumatori. Dall’altra nazioni o città che la mettono al bando, in nome delle regole o degli interessi costituiti (i tassisti). È una nuova geopolitica del pianeta, con mappe e confini che vengono ridisegnati dai rapporti di forze: dove vincono gli utenti; dove invece s’impongono le corporazioni o il primato delle normative. La sentenza del tribunale di Milano colloca l’Italia nel secondo campo. Le nazioni anglosassoni sono nel primo.
Per coincidenza, la sentenza cade proprio mentre affluiscono dal mondo intero nella capitale lombarda i visitatori dell’Expo. E scoprono che un tassista regolare chiede 90 euro per portarli da Milano all’aeroporto di Malpensa; mentre a New York un tragitto di poco inferiore costa la metà. (Ecco il confronto preciso: 90 euro per i 50 km da Malpensa al Duomo; 55 dollari per il tragitto molto più trafficato da Wall Street all’aeroporto JFK, 42,6 km. Solo 15% in meno la distanza newyorchese, ben 44% in meno la tariffa del taxi giallo, e in una metropoli americana dove il costo della vita è più elevato).
La Uber-guerra non impedisce che questo nuovo modo di spostarsi in città si diffonda. Uber è già un fenomeno planetario, vale 50 miliardi di dollari, ne fa 10 di fatturato. Più il reddito che entra nelle tasche degli autisti. Free-lance, occasionali, o talvolta professionisti. Uber l’ho vista nascere nel 2010 a San Francisco, città dove era sempre stato un calvario trovare un taxi. Ora non più. Non ha sfondato invece a Parigi, città dove trovare un taxi continua ad essere un calvario. Proprio nella capitale francese era venuta l’idea originaria al fondatore Travis Kalanick, una scintilla scaturita dalla frustrazione: bloccato e appiedato nel 2008 durante una conferenza LeWeb. Ma a Parigi è prevalsa la forza organizzata dei “chauffeur de taxi”, la cui scarsità è leggendaria tra i loro malcapitati clienti.
Altrove, in questi cinque anni la marcia è stata trionfale: il servizio Uber è ormai attivo in 200 città e 55 nazioni del mondo. Ha generato imitazioni tanto da creare il neologismo “Uberification” per designare questa proliferazione. Il principio innovativo sta nell’algoritmo. Il software della sua app offre diversi servizi: mette in contatto a gran velocità chi cerca un’auto e chi vuol vendere il proprio servizio da autista, da professionista del noleggio (Uber Black) oppure da free-lance occasionale (Uber Pop). L’algoritmo muove le tariffe per fare incontrare la domanda e l’offerta: è questo il “miracolo” che fa apparire per le strade auto disponibili, anche quando i tassisti regolari sono introvabili perché piove o è un’ora di punta. Naturalmente se la domanda è alta i prezzi salgono, e questo è stato uno dei motivi delle proteste: in occasione di ondate di maltempo, come l’uragano Sandy a New York, i prezzi rasentarono lo strozzinaggio. Il tassista regolare, invece, è tenuto a praticare sempre la stessa tariffa.
Uber fornisce anche un sistema di navigazione all’autista, e gestisce tutti i pagamenti. Infine raccoglie valutazioni nei due sensi: i passeggeri danno un voto agli autisti e viceversa (un cliente maleducato o aggressivo, o perennemente in ritardo, può finire sulla lista nera e gli Uber-autisti rifiuteranno la chiamata). Sempre la stessa app consente di seguire sul proprio smartphone la macchina in corso di avvicinamento.
L’elenco delle battaglie legali contro Uber si allunga ogni giorno. In Europa le più memorabili sono avvenute a Parigi, Berlino, Bruxelles. Vinte quasi sempre dai tassisti e perse quasi sempre da Uber. Le sentenze anti-Uber sono di due tipi. Da una parte l’argomento pro-tassisti: loro pagano una licenza, passano esami, hanno doveri precisi, quelli di Uber no. D’altra parte l’argomento pro-viaggiatori: i dubbi sulle garanzie per la loro sicurezza. Il primo chiama in causa interessi economici contrapposti. Il secondo sembra pretestuoso: non ci sono prove che con Uber siano cresciuti gli incidenti stradali.
Anche in America i tassisti hanno provato a difendersi. Nella capitale federale, Washington, un tentativo dell’autorità municipale di mettere al bando Uber è stato travolto dalle proteste degli utenti sui social media. A New York – dove pure i taxi gialli abbondano e le tariffe erano basse già prima di questa rivoluzione digitale – Uber ha reclutato ben 16.000 autisti, molti dei quali peraltro erano già noleggiatori e perfino tassisti. La California ha aggiornato le sue regole, per imporre anche agli autisti Uber delle polizze assicurative adeguate: un minimo di 100.000 dollari per rimborsi al passeggero in caso di incidente. Il successo di Uber ha attirato fra i suoi azionisti un colosso cinese, il sito Baidu (a Pechino e Shanghai il servizio è permesso), nonché il fondo sovrano del Qatar. E la prossima frontiera dell’innovazione su cui la società sta investendo, è l’auto senza pilota. Google, che ne prepara una, è entrata nel capitale di Uber.