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 2015  maggio 26 Martedì calendario

Isis è indubbiamente una seria minaccia, ma non è invincibile. Il problema, se mai, è il modo in cui lo si combatte. Obama vuole fermare la sua avanzata ma non vuole apparire agli occhi della pubblica opinione americana come il presidente che sostiene il dittatore Assad

Palmira è caduta! Visto che si tratta di un sito tutelato dall’Unesco, Patrimonio dell’Umanità, allora perché non interviene l’Onu con delle truppe a difenderlo dalla distruzione e tutelarlo? Allora si tratta solo di paroloni e istituzioni pletoriche e mangiasoldi che non tutelano un bel niente!
Angelo Quaranta
angelo.quaranta3@teletu.it

Caro Quaranta,
Per un intervento militare dell’Onu è necessaria una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e, soprattutto, che un gruppo di Stati sia disposto a impegnare le proprie truppe in quella che non sarebbe semplicemente un’operazione di polizia artistica. Le truppe, del resto, esistono già. Sono quelle della Siria di Bashar Al Assad che hanno combattuto l’Isis sino al momento della ritirata da Palmira, le formazioni dell’esercito regolare iracheno che hanno liberato Tikrit, le milizie sciite comandate dagli iraniani e, infine, gli Stati Uniti con droni e, a quanto pare, nuclei di formazioni speciali. Queste forze non sono sufficienti perché non hanno un comando comune, obbediscono a strategie diverse e hanno di fronte a sé un nemico sostenuto, verosimilmente con incoraggiamenti non soltanto morali, da Paesi che hanno con l’Occidente rapporti di amicizia e di Alleanza.
Isis è indubbiamente una seria minaccia, ma non è invincibile. Il problema, se mai, è il modo in cui lo si combatte. Gli Stati Uniti vogliono arrestare la sua avanzata e infliggere un colpo mortale alla più radicale e spietata delle formazioni islamiste. Ma Obama non vuole apparire agli occhi della pubblica opinione americana come il presidente che sostiene il dittatore siriano. La Siria è oggi il più indispensabile dei nemici dell’Isis, ma larghi settori della società internazionale non vogliono che la sconfitta dello Stato islamico diventi la vittoria del dittatore siriano. Per la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il nemico, sin dall’inizio del conflitto, è Bashar Al Assad. Per l’Arabia Saudita i nemici sono gli amici sciiti di ciò che rimane del regime siriano: gli Hezbollah libanesi, le milizie comandate dai guardiani della rivoluzione iraniana e Teheran, dovunque eserciti la sua influenza. L’attentato degli scorsi giorni contro una moschea sciita sul territorio saudita dimostra che l’Isis non esita a creare situazioni imbarazzanti per il governo di Riyad, ma non ne cambierà probabilmente la linea.
Molti sanno che la Russia, in questa vicenda, può essere un utile alleato. Ma Putin sostiene Bashar anche per conservare una base navale sulle coste siriane che risale all’epoca in cui l’Unione Sovietica aveva con il regime di Damasco un rapporto «fraterno». Soprattutto in una fase dominata dalla crisi ucraina, gli americani non sono disposti ad assecondare le sue ambizioni. Sono questi gli screzi e i dissidi che l’Isis può sfruttare per meglio manovrare le sue formazioni contro un nemico disunito. I cultori di storia romana sanno che questa fu la tattica con cui Orazio vinse i Curiazi.