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 2015  maggio 26 Martedì calendario

Sembra che i mercati abbiano preso male l’annunciata, probabile insolvenza della Grecia e l’affermazione di Podemos nelle elezioni amministrative spagnole. È la situazione politica spagnola a preoccupare assai più della disastrata, ma ormai nota, condizione delle finanze e dell’economia ellenica

È difficile dire come i mercati abbiano preso l’annunciata, probabile insolvenza della Grecia e l’affermazione di Podemos nelle elezioni amministrative spagnole. Dai numeri visti sulle Borse di Milano, Madrid e Lisbona, si direbbe che l’abbiano presa piuttosto male. Dai numeri di Parigi, neanche così male.
Di più non si può dire perché, con Wall Street, Londra e Francoforte (oltre a qualche altra piazza minore) chiuse per festività, nemmeno si può parlare di mercato, dal momento che i grandi investitori internazionali erano assenti e le banche italiane (o quelle spagnole) si sono ben guardate dal prendere posizione. La cosa è ancor più vera sul mercato dei titoli di Stato dove qualche sparuto scambio, su un circuito frequentato da piccoli operatori, s’è visto in mattinata solo sui Btp. A Parigi, Madrid e Lisbona (formalmente aperte), non s’è visto passare un titolo: cosa assai comprensibile, poiché il mercato, che attraverso i derivati guida gli scambi obbligazionari in Europa, è proprio quello tedesco, ieri silente. La reazione dei mercati la si vedrà quest’oggi e non sarà, verosimilmente, positiva, poiché è la situazione politica spagnola a preoccupare assai più della disastrata, ma ormai nota, condizione delle finanze e dell’economia ellenica.
Interpellati alcuni grandi investitori, hanno tutti posto l’accento sulla novità emersa dalle elezioni spagnole dove Podemos, il partito che s’ispira al greco Syriza, è diventato la terza forza del Paese con una percentuale di voti vicina a quella dei due maggiori partiti. È una novità relativa, a dire il vero, perché da mesi ci si aspettava un successo dei movimenti contrari alla politica di rigore d’Eurozona, se non addirittura delle forze più estreme e antieuropee. Se si prendono certi sondaggi che giravano nei mesi scorsi, e che accreditavano a Podemos percentuali di voti superiori a quelle del partito socialista, si può dire che i risultati di domenica non siano affatto sorprendenti. Di certo, se si proiettasse l’esito delle amministrative alle elezioni politiche del prossimo novembre, la Spagna risulterebbe ingovernabile, così come lo fu la Grecia fino a gennaio. E, in ogni caso, la politica di rigore di Bruxelles troverebbe un sostegno sempre più labile, con la conseguenza di allargare la distanza tra Germania (e le nazioni più virtuose) dagli Stati cosiddetti periferici.
Ma, tra i pochi operatori che ieri sbirciavano gli schermi Reuters e Bloomberg, si fa strada un’interpretazione diversa e per certi versi paradossale: che la più complicata situazione politica spagnola possa, se non proprio addolcire le istituzioni europee (e il Fmi) verso la Grecia, quanto meno ammorbidire le posizioni. Perché è ormai chiaro che, senza una radicale ristrutturazione del debito, lo Stato greco è insolvente. Se in virtù di qualche accordo non lo sarà fra qualche giorno con il Fondo monetario, lo sarà a luglio verso la Bce. Dilazionare la questione finisce per esacerbare gli animi: tra i Paesi periferici che a torto o a ragione si sentono “oppressi” dai dictat di Bruxelles e tra i cittadini tedeschi che cominciano a percepire l’Unione (e la Bce) come un sistema sempre meno confacente.